06 marzo 2021

Continua con lo sperpero di denaro pubblico su Alitalia, in picchiata da 20 anni e senza speranza

Cambiano i governi ma resta il disastro finanziario di Alitalia, la compagnia di bandiera di questa repubblica delle Banane, tenuta in piedi solo grazie alle continue iniezioni di soldi pubblici, con l'ultimo versamento che è sempre il penultimo e l'Europa, che interviene su tutto, dalla curvatura della banane alla dimensione delle vongole, che si gira dall'altra parte permettendo questo scempio finanziario. Una compagnia che negli ultimi 20 anni, da quando il mercato è stato aperto alla concorrenza, non è mai stata in grado di essere competitiva e che naviga a vista, con perdite di quasi due milioni di euro a giorno.



Alitalia ha alle spalle una lunghissima scia di bilanci in rosso e di sostegni con soldi pubblici. Ecco quanto è costata agli italiani


Ben 12 governi, fino a quello guidato dall'attuale premier Mario Draghi, e quasi altrettanti amministratori delegati, 11, si sono dati il cambio in questi ultimi 20 anni, mentre Alitalia consumava la sua lenta agonia, passando per l'umiliazione del delisting, innumerevoli ricapitalizzazioni e approdando infine all'amministrazione straordinaria. Un filo rosso lega questi i due decenni della compagnia in caduta libera, oggi a un passo dal consegnare parte delle attività alla newco Italia trasporto aereo, per provare a rinascere più piccola e finalmente redditizia. Un filo rosso, come la sequela ininterrotta dei bilanci, invariabilmente in perdita.

Dal 2000 a oggi la compagnia ha chiuso ogni esercizio col segno meno, cumulando tra perdite a bilancio e quelle stimate (e mai smentite) della gestione commissariale, una cifra che ormai supera gli 11 miliardi di euro. Una sola eccezione ha interrotto questa drammatica catena di bilanci, funestata da attacchi terroristici, avvento delle low cost e infine, il Covid: l'utile di 93 milioni di euro del 2002, che si deve al versamento della penale versata da parte di Klm, allora rea di aver chiuso unilateralmente un contratto di cooperazione.

Alitalia era uscita ammaccata dal disastro delle Torri Gemelle nel 2001, che aveva messo a terra e poi costretto a una vera e propria rivoluzione il settore del trasporto aereo. Nulla rispetto a quello che sarebbe accaduto 19 anni dopo con la pandemia causata dal Covid. Ma allora, era sembrato un disastro dalle conseguenze incalcolabili. La causa intentata un anno prima dall'amministratore delegato, Domenico Cempella, contro gli olandesi, aveva dato i suoi frutti in tempo perché il successore, Francesco Mengozzi, il manager dei mille giorni, potesse passare all'incasso e archiviare in utile quel solitario esercizio del 2002, regalando persino qualche effimero brivido agli azionisti di Alitalia, all'epoca ancora quotata. Non che, riportando il calendario ancora più indietro, sia andata molto meglio.

Uno studio di Mediobanca, dedicato all'Alitalia pubblica dal 1989 al 2007 (l'anno prima della privatizzazione e dell'avvento dei cosiddetti capitani coraggiosi reclutati dal governo Berlusconi) aveva messo in luce perdite per l'equivalente di 6 miliardi di euro e interventi statali, già allora, per quasi 3 miliardi di euro. Di quel brusco divorzio di fine millennio con Klm, Alitalia ha portato i segni a lungo. Sarà solo il primo di tre matrimoni falliti con partner di peso internazionale, da Air France, nel frattempo diventata proprio Air France-Klm, all'ultimo, prima del commissariamento, con l'emiratina Etihad, determinata a fare di Alitalia una compagnia «sexy», per dirla con l'allora presidente, James Hogan.

Entrata con una quota del 49%, quella massima consentita a un azionista esterno alla Comunità europea. Etihad ne è uscita nel 2017, sconfitta dal referendum sul piano di risanamento a 5 anni, che prevedeva forti tagli alle retribuzioni dei dipendenti. La fine dell'alleanza con Etihad ha di fatto consegnato Alitalia all'amministrazione straordinaria. Partita a maggio 2017, è oggi alle ultime battute. Nel frattempo ben cinque commissari si sono occupati della compagnia: Luigi Gubitosi, con Enrico Laghi e Stefano Paleari, questi ultimi affiancati poi da Daniele Discepolo, fino all'arrivo dell'ultimo, Giuseppe Leogrande, che però dal 5 marzo non è più solo.

Il ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, infatti, ha voluto che per l'ultimo miglio dell'amministrazione straordinaria, Leogrande venga coadiuvato da altri due commissari, Daniele Santosuosso, ordinario di Diritto commerciale alla Sapienza, e Gabriele Fava, giuslavorista. Il suo è il profilo che più ha attirato l'attenzione, perché l'operazione avrà un costo sociale che il governo vuole provare ad attutire. I tre dovranno chiudere il capitolo finale, col passaggio di consegne alla newco controllata dal Tesoro. Lo stesso giorno della nomina dei due nuovi commissari, Giorgetti ha incontrato la vicepresidente Ue con delega alla Concorrenza, Margrethe Vestager, insieme ai colleghi dell'Economia, Daniele Franco, e dei Trasporti, Enrico Giovannini. «Un buon primo incontro», lo ha definito la portavoce di Vestager. Ma dovrà essere soprattutto produttivo, visto che la priorità del governo è consegnare le attività volo alla newco in tempo per la stagione estiva, o le low cost si prenderanno tutto.

Già nel 2016, come evidenziato da Andrea Giuricin per l'Istituto Bruno Leoni, Alitalia si trovava in seconda posizione in termini di numero di passeggeri nel mercato italiano, alle spalle di Ryanair, la prima low cost europea, e davanti a Easyjet e Vueling, «altre due low cost molto più grandi della stessa Alitalia a livello europeo». Oggi quelle stesse low cost, atterrate come tutti i vettori dal Covid, stanno già riaprendo le ali e registrano prenotazioni record. Per il futuro di Ita e quel che resta di Alitalia, davvero all'ultima chiamata, insomma, arrivare in tempo per l'estate è vitale.

Da MF-Milano Finanza, 6 marzo 2021

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