30 aprile 2019

Chi ha più fan su Facebook e Instagram?

Cristiano Ronaldo si conferma il re sui social. I brand reggono su Facebook ma lasciano spazio a cantanti, attori e calciatori su Instagram. Le due top ten a confronto 


Chi ha più fan su Facebook e Instagram?

I social network hanno creato un ponte sempre più stretto tra celebrità e fan. Come scrive Forbes, che ha messo in fila le pagine più seguite su Facebook e Instagram nel 2018, rappresentano il modo più rapido per comunicare una notizia, un sentimento, un'esperienza al mondo intero. Tutto in modo istantaneo. Per i seguaci, d'altra parte, è il modo più semplice per rimanere costantemente aggiornati su quello che succede nella vita dei loro beniamini osservandone sempre più da vicino stili di vita e abitudini.

La top ten di Facebook
Se non contiamo la pagina madre che guarda tutti dall'altro, le altre nove posizioni di questa classifica sono occupate da realtà assai diverse: quattro persone fisiche di cui due calciatori, Cristiano Ronaldo e Messi, una cantante, Shakira, e un attore, Vin Diesel. Sono due anche i club di squadre sportive, entrambe spagnole, Real Madrid e Barcellona. Infine tre marchi: Samsung, Coca Cola e Tasty (che per chi non lo conoscesse lavora in ambito food e ricette con un taglio molto pop).


Nella classifica spicca la performance dell'azienda coreana che ha sfiorato il traguardo dei 160 milioni di fan, distanziando tutti i rivali. Medaglia di bronzo invece per la stella della Juventus (122,5) che ottiene più seguaci sia della sua vecchia squadra, il Real Madrid (109,5), che del suo eterno rivale, Lionel Messi (89,9).  

La top ten di Instagram
È forse la classifica più interessante vista l'evoluzione e la fortuna che sta avendo il social delle foto e delle stories. I numeri qui confermano come la piattaforma sia quella preferita dai giovanissimi e come il mondo dello sport e dello spettacolo non abbia rivali in termini di conversazione e racconto. Nella top ten, e questo sì che dovrebbe far riflettere, non ci sono brand e aziende ma solo personalità del pallone e della canzone.


Dietro il profilo della casa madre è ancora Cristiano Ronaldo (148 milioni di fan) a conquistare la vetta. L'altro calciatore presente nella lista, in questo caso, non è Messi ma il brasiliano Neymar (107,4). All'interno della classifica ci sono poi diverse cantanti come Selena Gomez (144,5) Ariana Grande (138.8), Beyonce (121,4), Taylor Swift (113,8) e attori/personaggi della tv come The Rock (al secolo Dwayne Johnson con 124,4), Kim Kardashian (121,9) e Kylie Jenner (121,2).

Non sorprende, osservando questi risultati che in termini assoluti i numeri di Instagram siano più alti di quelli di Facebook. Non pè difficile prevedere che in futuro questo divario si allargherà sempre di più, con le aziende costrette a investire e inventarsi nuove soluzioni per arrivare a scalare questa classifica che non le vede ancora protagoniste.

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29 aprile 2019

Paesaggio invernale fuori stagione: neve sui Sibillini

La perturbazione proveniente dal Mare del Nord che ha investito l'Italia nella giornata di ieri, causando delle vere e proprie bufere sulle Alpi, dal tardo pomeriggio ha avuto i suoi effetti anche nel centro Italia, con la neve che è ricomparsa sui Sibillini.



Dalle immagini di BolognolaSki, infatti, è possibile vedere come la coltre bianca abbia ricoperto completamente il paesaggio, facendoci ripiombare a scenari invernali che a questo punto della stagione non pensavamo certo di rivedere ma che regalano sempre belle emozioni.








28 aprile 2019

Il sultano del Brunei ha scritto all'Ue per difendere la lapidazione dei gay

Nella lettera scrive che la normativa è stata introdotta per "salvaguardare la sacralità della discendenza familiare e del matrimonio" e le condanne saranno poche.


Il sultano del Brunei ha scritto all'Ue per difendere la lapidazione dei gay

Il sultano del Brunei in una lettera al Parlamento europeo ha difeso il nuovo codice penale, che prevede la pena di morte per lapidazione per adulteri e omosessuali, spiegando che la normativa è stata introdotta per "salvaguardare la sacralità della discendenza familiare e del matrimonio". Inoltre, ha sottolineato, le condanne saranno poche dal momento che sono necessari almeno due uomini di "alta statura morale e fede come testimoni" e sarà esclusa "ogni forma di prova circostanziale".

Nella lettera di quattro pagine, il sultano ha quindi invocato "tolleranza, rispetto e comprensione" dell'Ue nei confronti degli sforzi del Brunei di preservare i suoi valori tradizionali. L'omosessualità è illegale da quando il sultanato ha rotto con il dominio britannico ma finora era punibile con la prigione, non con la pena di morte.

Gli europarlamentari la settimana scorsa hanno sostenuto una risoluzione di forte condanna nei confronti dell'entrata in vigore del "codice penale retrogrado" e hanno chiesto a Bruxelles di considerare ulteriori iniziative, come il congelamento di beni, il divieto di visti e l'inserimento nella 'lista nera' di nove hotel proprietà dal sultano. 

[Agi]

27 aprile 2019

La fioritura dei ciliegi a Stoccolma - FOTO

Puntuali, come ogni anno, ecco fiorire i ciliegi giapponesi di Kungsträdgården, uno dei giardini pubblici più vecchi e più conosciuti di Stoccolma. La primavera è arrivata anche qui nel lontano Nord, non ci possono essere più dubbi. Anche se l’aria è fresca e qualche spruzzata di neve non è ancora da escludere.



Lo spettacolo di Kungsträdgården

La fioritura di questi particolarissimi alberi, che colora di rosa i due viali che racchiudono il giardino, è ormai diventata un appuntamento fisso nel calendario stoccolmese: tanti, tantissimi si concedono una passeggiata nel parco. O per staccare dal lavoro nei giorni feriali, o per fare una “fika” nei numerosi cafè, o ancora per catturare i tiepidi raggi di sole delle belle giornate.

Kungsträdgården, poi, è in posizione strategica: è esattamente a metà strada tra il centro storico, Gamla Stan, e la parte più moderna della città, la City, sede di uffici, di gallerie dello shopping e di un continuo e movimentato via vai.

Lo spettacolo della fioritura è appena cominciato: il viale ad est, meglio esposto al sole, è già colorato. Per quello ad ovest occorrerà ancora qualche giorno. Se siete a Stoccolma nelle prossime settimane approfittatene, fateci un salto! E, se capitate da queste parti il 22 di aprile, non perdetevi l’ormai tradizionale Körsbärsblommans dag, il giorno della fioritura del ciliegio: una festa di primavera tinta di rosa!















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26 aprile 2019

La storia dei liquidatori della centrale di Chernobyl

Il 26 aprile del 1986 a Chernobyl avvenne il più grande disastro nucleare della storia europea. Dalla Lettonia partirono 6000 ”liquidatori” per limitare i danni della centrale. Un sesto di loro è morto per le conseguenze delle radiazioni. Questa è la storia del loro sacrificio.


La storia dei liquidatori lettoni della centrale di Chernobyl. La memoria di un sacrificio

Era il 26 aprile del 1986 quando l’Europa visse la giornata più drammatica a causa di un incidente ad una centrale nucleare, ma gli stati e i cittadini europei, di qua e di là dalla cortina di ferro, non ne seppero niente fino al giorno dopo, quando i rilevatori di radioattività della centrale svedese di Forsmark registrarono dati anomali della radioattività. I venti che nella giornata del 26 aprile spiravano verso nord portarono la nube radioattiva sopra la Bielorussia, poi sopra i paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, per poi virare a nord ovest ed investire Svezia e Finlandia, e successivamente il resto dell’Europa nord occidentale.

Il Cremlino cercò di smentire l’incidente della centrale di Chernobyl finché il disastro non fu evidente, ma nel frattempo nelle repubbliche sovietiche investite dalla nube radioattiva le persone avevano continuato a vivere normalmente, senza prendere le precauzioni che sarebbero state necessarie.

La Lettonia pagò un terribile tributo per l’incidente di Chernobyl anche per il numero dei suoi cittadini che furono inviati alla centrale ucraina per contribuire a spegnere l’incendio e a rimuovere i detriti radioattivi. Furono 6000 gli uomini, quasi tutti militari, che dalla Lettonia vennero reclutati, solo formalmente in modo volontario, in realtà costretti a recarsi a spegnere l’inferno radioattivo di Chernobyl e a scaricarci sopra una tomba di cemento.

Un sesto di quei 6000 uomini è già morto, per le conseguenze delle radiazioni. I superstiti hanno creato anche un’associazione “Chernobyl”, per non dimenticare il sacrificio dei loro compagni e della Lettonia in quel disastroso evento. Queste sono alcune delle loro storie.

Arnolds Vērzemnieks

Vērzemnieks è rimasto sul luogo dell’incidente dal novembre 1986 fino all’inizio dell’anno successivo. Subito dopo il suo ritorno ha cominciato ad accusare problemi di salute. Tornando a casa dalla stazione centrale di Riga, ha perso conoscenza. “Non voglio ricordarlo”, dice a se stesso quest’uomo che da allora ha perdite di memoria ogni giorno da 25 anni.
“Riesco appena ad accorgermi quando arriva. Comincio a vedere male…” Anche se ognuno dei liquidatori reduci da Chernobyl subisce conseguenze diverse dall’esposizione alle radiazioni, uno dei sintomi più frequenti è la perdita di memoria, dimenticarsi il numero di telefono, l’indirizzo di casa..

Nel 1986 Vērzemnieks era un ufficiale del corpo della protezione civile a Riga, settore radiazioni e chimica.
“La cosa più semplice era chiamare l’esercito. Era una chiamata di servizio, dovevi rispondere. Se non lo facevi, eri responsabile di un crimine” ricorda lui. “A quel tempo il luogo in cui si trovava una centrale nucleare era tenuto segreto, prima di partire dovemmo cercare sulla mappa un luogo chiamato Chernobyl.”
Quando arrivò nei dintorni della città di Pripyat, i lavori erano già in pieno svolgimento. Sopra il reattore era stato costruito un enorme sarcofago di cemento. Senza di quello il materiale radioattivo trasportato con la pioggia e la neve avrebbe coperto tutta l’Europa. “Il lavoro più sporco venne affidato all’esercito, decontaminare tutto il terreno della città di Pripyat.

Di sera Pripyat faceva paura. Di fronte a te c’era una città vuota, disabitata. Da qualche finestra sembrava di vedere dei fantasmi, e poi giravano per le strade animali da cui era bene tenersi lontani.”

A coloro che lavoravano alla copertura del tetto del reattore (da cui uscivano radiazioni letali) veniva promesso di lavorare solo un giorno e poi gli concedevano di tornare a casa.

“Allora molti pensavano di essere al sicuro – corro là sopra, faccio quello che mi chiedono e dopo un giorno torno a casa. Era un trucco psicologico per ingannarli” ricorda il presidente dell’associazione.
Per le radiazioni ricevute dal tetto della centrale sono morti 1560 uomini. “Tutti quelli dei nostri che sono andati là sopra sono morti”.

Ojārs Lūsis, prima chiamata (8 maggio – 24 agosto).

“In Ucraina giunsi con la prima mandata. All’epoca lavoravo nel Palazzo della stampa, arrivò un avviso. Il capo reparto venne in laboratorio e ci disse: sarà dura, ma bisogna andare. Nessuno allora sapeva, perché ci mandavano là e a fare cosa. Nell’esercito la mia specializzazione era di chimico/esploratore, ma ormai ero molto lontano da quell’occupazione. Ci riunirono sulla base della politica militare russa, nei primi tre mesi il 90% di quelli mandati là erano baltici. In seguito, quando iniziarono i cambi, arrivarono anche altri, ad esempio ogni sorta di criminali, che chiedevano loro stessi di venire, perché poi sarebbero stati liberi. Ci davano il cambio quando avevamo in corpo 25 rentgen, anche se all’inizio pensavano potessimo arrivare a 50 rentgen. Meno male che poi ebbero una qualche compassione. Quanta radiazione prendemmo alla fine, nessuno lo sa. Ci misuravano in gruppo, 80 persone e finiva lì. Ci si lavava e poi si usciva dalla zona. La cittadella di tende distava 30 km. Adesso siamo tutti invalidi, di 2° o 3° classe. Lo stato ci ha il sostegno minimo, ma se l’assegno d’invalidità supera la pensione, non ce lo pagano neanche. Ci sono persone che sono ricorse in processo, e hanno anche vinto. Ci avrebbero dovuto dare lo status di deportati – ci hanno spedito in quegli stessi carri bestiame…”

Ivars Kalada, prima chiamata (8 maggio – 3 ottobre).

“Credo che la nostra chiamata sia avvenuta secondo la politica del terrore sovietico, solo per colpire i baltici – come nel 1949, quando ci misero sui carri bestiame e ci spedirono in Siberia. Del pericolo venni a sapere solo quando fummo in Ucraina, perché nel primo punto di arrivo non potevamo costruire l’accampamento – c’erano troppe radiazioni. All’inizio ci avevano chiamato per un turno di 45 giorni, poi lo aumentarono a 180. Ero un vice comandante per le questioni tecniche – facevo l’autista ed ero di servizio insieme a medici e infermieri. Oggi sono un invalido di 2° classe – a volte mi sento molto male, soffro di gravi problemi di salute. Sono uno di quelli che ha fatto causa allo stato per non aver ricevuto la pensione. Le medicine sono care, lo stato rimborsa solo quelle meno costose. Noi che abbiamo fatto causa almeno possiamo permetterci le spese per la riabilitazione.”

Longins Švirēvičs, prima chiamata (8 maggio – 23 luglio)

“In Ucraina sono stato 77 giorni. Dovevo occuparmi delle macchine e del loro lavaggio. Non vedevamo né sentivamo le radiazioni – non avevamo idea del pericolo. C’era solo un sapore di metallo, di rame, nell’aria, e questo dicono sia tipico delle radiazioni. Avevo sentito alla radio “Voice of America” di quanto era accaduto, per questo ero pronto. Adesso ho un sacco di problemi con la salute – le articolazione, la pressione del sangue, le difese immunitarie. A volte le dita dei piedi e delle mani si lacerano, dal niente, e ci mettono molto tempo a rimarginare, anche mesi. Un sostegno dallo stato ce l’ho – una sorta di compensazione di 100 euro per le spese delle utenze. Ma soldi per i problemi di salute, o per una pensione, no! Per questo molti fanno causa allo stato.”

Jānis Stikans, prima chiamata (8 maggio – 28 agosto).

“Ho la sensazione che tutto quello che è successo nel primo mese, mi sia rimasto profondamente impresso nella memoria. Ci hanno fatto “prigionieri” il 7 maggio, l’11 maggio avevamo già tirato su una’accampamento di tende, e il 13 maggio siamo entrati nella zona. Nessuno poteva accorgersi, solo entrandoci, che ci fossero radiazioni. Vicino a una fossa fecero una misurazione, c’erano 2,5 rentgen. Ci siamo lavati, cambiato i vestiti, e venti minuti dopo avevamo addosso lo stesso livello di radiazioni. Col palmo della mano ho lisciato i vestiti, e mi è rimasto sul palmo un colore perlaceo. Adesso ho un’invalidità di 2° classe, ogni giorno è peggio – mi fanno male le ossa, le articolazioni. Per il sostegno dello stato, è difficile dire – mi pagano un rimborso per le medicine, ma per il resto dobbiamo fare da soli. Anch’io ho fatto causa – quattro anni è andata avanti, ma almeno ho ottenuto i soldi per 16 mesi.”

[Fonte: Balticanews]

25 aprile 2019

Bambino in preda alla Felicità

Bambino credo straniero (ho preso il filmato da una pagina estera) che apprezza particolarmente la canzone di Al Bano e Romina e va letteralmente in visibilio ascoltandola.





24 aprile 2019

Zecca nella barba, Poborsky: "Ho pensato di morire"

L'ex centrocampista della Lazio Karel Poborsky in una intervista al Guardian è tornato sulla paurosa malattia che nel 2016 quasi gli costò la vita. 


L'ex calciatore, 46 anni, contrasse il morbo di Lyme a causa della sua barba incolta: Poborski a fine carriera decise infatti di farsi crescere la barba lunga, sfoggiandola anche in occasione di alcune amichevoli di beneficenza. L'uomo però non si era accorto che una zecca aveva deciso di prendere residenza tra i suoi peli facciali. L'ex Lazio non l'ha scoperto fino a quando non è stato troppo tardi: l'insetto lo ha morso, e Poborsky è stato costretto a farsi ricoverare in ospedale con urgenza.

In clinica gli hanno diagnosticato la malattia di Lyme, una patologia infettiva trasmessa proprio dalle zecche e che si manifesta inizialmente con un eritema ma che, nei casi più gravi, può portare a complicanze neurologiche e disturbi cardiaci fino alla morte. L'ex giocatore, sottoposto a trattamento antibiotico per debellare l'infezione, si è ritrovato per alcune settimane con il volto totalmente paralizzato.

"Ho pensato di morire, se fossi arrivato in ospedale un giorno più tardi, questa intervista non sarebbe mai uscita. Mi hanno messo in coma indotto. Dopo essermi svegliato, mi hanno chiesto quale fosse il mio nome. Tutti i miei muscoli facciali erano paralizzati, ho trascorso tre settimane in quarantena in ospedale sotto potenti antibiotici. Non potevo mangiare, dovevo tenere gli occhi coperti perché ero molto sensibile alla luce. Ero parecchio spaventato".

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23 aprile 2019

Dalla Svezia arriva l'anti-Greta

Dalla Svezia arriva anche l'anti-Greta Thunberg. Si chiama Izabella Nilsson Jarvandi, ha 15 anni e si batte contro l'immigrazione e l'ideologia gender. Sul suo profilo Twitter si definisce "una giovane attivista politica contro il globalismo, che cerca la verità e la giustizia per la mia amata Svezia".



Dalla Svezia l'anti-Greta, attivista 15enne sovranista

Izabella Nilsson Jarvandi combatte immigrati e 'gender'

Jarvandi, lunghi capelli neri e occhi scuri, ha tenuto comizi pubblici davanti ai palazzi del potere svedesi ed è attivissima sui social. Denuncia quello che definisce "il genocidio del popolo svedese", dovuto alle politiche liberali del suo paese verso l'immigrazione. Ha anche solidarizzato con il premier ungherese Viktor Orban per la sua chiusura nei confronti degli immigrati.
Ma Izabella non si limita a sostenere posizioni sovraniste.

E' anche favorevole a politiche per la famiglia e combatte la cosiddetta ideologia gender, quella che sostiene che le differenze di comportamento fra maschi e femmine derivano dall'educazione.
A marzo l'attivista quindicenne è stata protagonista di un durissimo dibattito su Twitter contro quello che ha definito "l'indottrinamento gender nelle scuole svedesi". Ha parlato di "testi assurdi", i cui protagonisti sono "una ragazza con un pene", "un ragazzo con una vagina" o individui che sono al tempo stesso "un maschio e una femmina".

La bestia nera di Izabella sono gli intellettuali liberal di sinistra e l'ideologia del politically correct. Per questo è diventata popolarissima negli ambienti della destra sovranista e degli integralisti cristiani.

La giovane attivista ne ha anche per Greta Thunberg: "Se non sei nemmeno abbastanza uomo o donna per difendere la tua gente - ha scritto sui social -, allora come diavolo dovresti essere lì per il resto del mondo?".

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22 aprile 2019

Peppina fa gli auguri ma sul web la ricambiano con insulti

Studio Aperto, nella giornata di Pasquetta, ha deciso di dedicare un servizio a nonna Peppina, con il solito Federico Pini che è arrivato a Fiastra per intervistarla. E' stata ricordata per sommi capi la sua vicenda, con la famigerata casetta a cui sono stati tolti sigilli otto mesi fa, e colto l'occasione per farle fare gli auguri di Pasquetta.


E' bastato che un giornale online abbia riportato la notizia, condividendo l'articolo sulla propria pagina Facebook, che qualche energumeno del web abbia pensato bene di commentare in malo modo e mandarla a quel paese, addossandole chissà quali colpe.

La cosa è ormai sistematica e non è la prima volta che accade. 

C'è stata probabilmente una sovraesposizione mediatica del suo caso, ghiotto per i media, qualche mese fa, ma da quì ad insultare una povera nonnina, quasi centenaria, che con un filo di voce fa gli auguri di Pasquetta, ce ne passa.

Come non ricordare poi, agli inizi della sua vicenda, quanti le auguravano direttamente la morte, come riportato nel seguente articolo: Insulti choc su nonna Peppina: "Muori di cancro vecchia di m..."

21 aprile 2019

L'ex pm Antonio Ingroia ubriaco fradicio a Parigi

L' ex pm, oggi solo avvocato, è stato fermato all'aeroporto parigino di Roissy mentre si stava imbarcando su un volo per l' Italia perché era «visibilmente in stato di ebbrezza». Come racconta Repubblica.it, l'ex esponente politico, leader di Rivoluzione civile, è stato costretto a «tornare indietro».


Antonio Ingroia ubriaco fradicio all'aeroporto, cosa non sapevate: retroscena da Parigi

No, non dev' essere affatto facile essere l' ex pm preferito da Marco Travaglio, diventato poi l' ex politico che avrebbe dovuto cambiare la politica, finendo con l' essere solo un ex fra i tanti. Senza aver cambiato nulla. Perché Antonio Ingroia, alla vigilia di una Pasqua piuttosto «calda», sotto tutti i punti di vista, è tornato alla ribalta per essere passato dai codici ai fiaschi, e non solo quelli inanellati nella sua altalentante carriera politica, per finire atterrato all' aeroporto di Parigi.

Una triste, o forse solo farsesca, storia raccontata dal quotidiano La Repubblica (bei tempi quelli in cui il giornale-partito fondato da Eugenio Scalfari era l' organo ufficiale delle Procure, prima di vedersi scippare il primato dal Fatto Quotidiano), che ha pescato la notizia. L' ex pm, oggi solo avvocato, è stato fermato all' aeroporto parigino di Roissy mentre si stava imbarcando su un volo per l' Italia perché era «visibilmente in stato di ebbrezza». Come racconta Repubblica.it, l' ex esponente politico, leader di Rivoluzione civile, è stato costretto a «tornare indietro». Secondo fonti aeroportuali il rifiuto di imbarco non avrebbe provocato resistenza da parte di Ingroia, che è stato portato in una zona dello scalo non lontana dai gate.

Il consolato italiano a Parigi è stato avvertito. Ingroia è stato fatto partire qualche ora dopo, una volta ripresi i sensi e in grado di viaggiare per rientrare in Italia. Come un tifoso qualunque, insomma. Eppure con passato simile certe sceneggiate andrebbero pure evitate. Ma la carne è debole e l' alcol forte, come narrano certe leggende metropolitane legate a Jean-Claude Juncker, avvocato lussemburghese e attuale presidente della Commissione europea. È un po' come se un sottile filo rosso, magari di Chianti doc, legasse i due. Entrambi avvocati, entrambi legati alla politica. Juncker, però, sino ad oggi non è mai stato fermato in aeroporto. Magari in altri luoghi, chissà.

Mettendo da parte il commissario europeo, croce e delizia dei nostri conti, la notizia del stop di Ingroia a Parigi ha fatto il giro dei siti, diventando virale. Difficile far finta di nulla. Dal diretto interessato nessuna replica, nessuna ripsosta. Del resto in certi casi meglio tacere. Non è bello dover spiegare perché accadano certe cose. Soprattutto se di mezzo ci possono essere questioni personali. Però passare così dalle stelle alle stalle, anzi alle cantine, dai...

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20 aprile 2019

Scimmia strappa il velo a una ragazza, scoppia una guerra fra tribù

La "lite" partita per colpa di una scimmia, si è trasformata in uno scontro con carri armati, lanciarazzi, mortai e armi pesanti che ha portato ad una vera e propria strage.



Libia, scimmia strappa il velo a una ragazza, scoppia una guerra fra tribù: 21 morti

Ventuno persone sono morte e 60 sono rimaste ferite per colpa di una scimmia a Sabha, una località della Libia. L'animale ha strappato il velo a una studentessa innescando una spirale di violenza tra due tribù rivali del sud del Paese. I primi a intervenire sono stati i familiari della ragazza, che hanno ucciso la scimmia e tre fra i rivali. Tra i due gruppi si è poi scatenata la guerra, con carri armati, razzi, colpi di mortaio.

La strage è iniziata la scorsa settimana, quando la scimmietta, che apparteneva a un commerciante della tribù Gaddadfa (quella dell'ex rais Muammar Gheddafi), ha aggredito un gruppo di di ragazze che passava davanti al negozio. L'animale ha strappato il velo a una giovane, graffiandola e mordendola al viso. Immediata la reazione dei familiari della ragazzina, della tribù Awlad Suleiman, che hanno imbracciato le armi e ucciso tre membri dell'opposta comunità insieme al piccolo animale.

Nei giorni seguenti, la situazione è ulteriormente degenerata: le due tribù si sono affrontate con armi da guerra provocando una carneficina. Ora, secondo quanto riferito dal deputato Ibrahim Mesbah el Hadi al portale Alwasat, "la situazione è molto brutta: mancano gli equipaggiamenti necessari all'ospedale e le scuole sono chiuse". Il Consiglio presidenziale ha già inviato una squadra per curare i feriti ed è in procinto di mandare una forza militare per mantenere la sicurezza e aiutare i capi tribù a riconciliarsi.

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19 aprile 2019

Spettacolare albero di Pasqua in Germania

Nella città tedesca di Saalfeld, nella terra della Turingia, si trova l'albero di Pasqua Kraft, famoso in tutto il mondo. Ogni anno questo albero di mele è decorato dalla famiglia Kraft con diecimila uova di Pasqua!


Questa idea appartiene a Volker Kraft, il capo della famiglia. Cominciò a sognare un albero di Pasqua, decorato con molte uova di Pasqua, mentre era ancora uno scolaro, nel 1945. Tuttavia, a quei tempi in Germania un tale arredo poteva essere considerato un vero lusso.

Il sogno di Kraft si è avverato solo 20 anni dopo. Il tempo passò, Volker crebbe, prese la sua casa, si sposò. E nel 1965, lui e sua moglie decorarono il primo albero di Pasqua - un giovane melo di recente pianta.

Quindi la collezione della famiglia Kraft aveva solo 18 uova di Pasqua. Ma il vero collezionista non si ferma mai a ciò che è stato realizzato! Volker ha comprato qualcosa da solo, qualcosa da dare da amici e parenti.

Quest'anno, l'accesso per ispezionare il più famoso albero di Pasqua in Germania è stato aperto il 16 marzo e oggi ci sono 10.000 uova di Pasqua nella collezione del 77enne signor Kraft! Tutti loro sono usati per decorare l'albero di Pasqua - dopo tutto, il melo in questo periodo è riuscito a crescere.

Gradualmente, anche i cittadini hanno iniziato a prendere parte a questo meraviglioso rituale: la creazione di un tale miracolo primaverile creato dall'uomo. I giornali e la televisione si interessarono a questo albero di Pasqua, e gradualmente le uova di Pasqua provenienti da altre città e persino paesi iniziarono a venire dal signor Kraft.

In primavera, alla vigilia di Pasqua, quando l'albero è già decorato, vengono fatte delle escursioni qui, arrivano persone provenienti da altre regioni del paese - solo per ammirare questa bellezza.

Le uova all'interno sono, ovviamente, tutte vuote, ma naturali, alcune hanno un valore artistico.

Dopo aver liberato le uova dal contenuto, molte di esse sono dipinte con uno o più colori. Nella famiglia degli artigiani, la figlia ha ricevuto un'educazione artistica speciale ed è professionalmente progettata per queste uova, conchiglie.

Conservano queste uova in forme per le uova e prima di appenderle sul melo per Pasqua, appenderle sulla terrazza con ganci speciali, dieci ciascuno.

Nel 2013, il numero massimo di uova è 10.000! E visitare il sito con l'albero di Pasqua è gratuito. Tedeschi ben fatti!

Tra le 10.000 uova, è possibile trovare esemplari con motivi e viste delle città tedesche, così come con gli edifici più famosi del mondo. Altre uova sono modellate, ad esempio, rane, tartarughe, ricci, palloncini.

Le uova sono protette dal vento e dalle intemperie in modo che non si rompano. Anno dopo anno ci sono nuovi motivi, forme di protezione e tecnica di esecuzione. Le copie di particolare successo sono collocate in una teca di vetro, installata proprio lì nel giardino vicino all'albero.

Un melo viene tagliato ogni primavera e modellato. Puoi ammirare questa vista della famiglia Kraft ogni 2-3 settimane prima di Pasqua e una o due settimane dopo, a seconda del tempo.

Decorare l'albero e rimuovere le uova stesse proprietari, utilizzando scale alte. La decorazione dura circa 2 settimane, a seconda del tempo.

Infine, diciamo che nel 2007 il Guinness Book of World Records è stato colpito con un albero di quercia rossa, decorato con 76.596 uova nello zoo della città di Rostock!

















Traduzione con Google da questo post

18 aprile 2019

Svezia, si fa male dando il 'cinque' al compagno - VIDEO

Un ingresso in campo alquanto sfortunato quello di Mattias Ozgun, terzino destro in forza al Degerfors. Il calciatore svedese si è infatti infortunato non appena ha messo piede in campo, mentre stava subentrando al posto del suo compagno di squdra Lindahl. 



Svezia, l'infortunio è inverosimile: si fa male dando il 'cinque' al calciatore che sta sostituendo

L'episodio è avvenuto nel corso della sfida contro l'Osters per un incontro valevole per la seconda divisione svedese. A causare l'infortunio è stata una manata involontaria sull'occhio sinistro proprio del suo compagno di squadra. Ozgun ha avuto bisogno del soccorso medico ma non ha comunque lasciato il campo. L'incontro, per la cronaca, è terminato con il punteggio di 1-1.

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17 aprile 2019

Formula E, i generatori diesel e le menzogne dei detrattori

Durante e dopo la gara di Formula E a Roma è impazzata la polemica per alcuni generatori di elettricità a carburante, fotografati e riportati dalla stampa. Ma l'analisi è errata e incompleta



Formula E, i generatori diesel e le menzogne dei detrattori: ecco quali sono, cosa bruciano e perché servono

Come lo scorso anno, la gara di Formula E a Roma è stata un grande successo, con la città italiana per un giorno eletta capitale dello sport e del divertimento per migliaia di tifosi, famiglie, bambini e appassionati. Festa però che qualcuno ha tentato maldestramente di guastare, diffondendo via social e tramite altri mezzi "canonici" le immagini di alcuni generatori di corrente elettrica alimentati a carburante, al grido di "la Formula E va a diesel".

Come tutte le accuse forti e clamorose, la notizia si è diffusa in modo virale in poche ore, peccato che nella maggior parte dei casi i fatti siano stati riportati in modo (volutamente?) parziale o con evidenti errori. Vogliamo fare quindi chiarezza su come funzioni il sistema energetico Formula E e dove sia la verità, anche da un punto di vista tecnico e non solo sensazionalistico.

La Formula E funziona a diesel?
La risposta è semplice quanto diretta: assolutamente no. È vero che le monoposto elettriche non vengono caricate con normale energia elettrica proveniente dalla rete (tranne rari casi), ma per le operazioni di gara ci sono dei generatori appositi che utilizzano un sistema innovativo e brevettato della società Aquafuel. Questi generatori sfruttano glicerina vegetale, recuperata nella maggior parte delle occasioni come sottoprodotto del biodiesel, per cui non prodotta appositamente e naturale a tutti gli effetti. Inoltre come combustibile, pur mantenendo un ottimo livello energetico, riduce drasticamente le emissioni inquinanti, soprattutto per quanto riguarda polveri sottili e NOx, come si può vedere dal grafico qui sotto.


Un solo generatore Aquafuel è in grado di caricare tutte le auto in gara in meno di un'ora, a conti fatti probabilmente inquinando addirittura meno delle emissioni medie per la produzione di energia elettrica dalla normale rete cittadina.

Questo sistema si rende necessario poiché, nonostante l'accordo pluriannuale per il Roma ePrix, la rete della nostra capitale non può sostenere un tale picco locale di richiesta energetica. La rete potrebbe anche essere adeguata, ma col rischio di trovarsi con un'opera immane senza la sicurezza che la Formula E diventi un appuntamento fisso. Inoltre a Roma in diverse zone esiste ancora la distribuzione bifase, a causa della vecchiaia di alcuni impianti. I detrattori ovviamente si dimenticano che nella zona del quartiere Eur sono ormai decine le colonnine di ricarica installate da Enel X, proprio per effetto degli accordi con la Formula E, il che permette a tutti i cittadini di ricaricare la propria vettura elettrica per 365 giorni all'anno e non solo per il week end di gara.

La foto dello scandalo? Non c'entra nulla con la gara
La foto che è stata spesso riportata invece riguarda i generatori di supporto agli eventi, che sono quelli di Aggreko. Trattasi effettivamente di generatori a gasolio, noleggiati in caso di eventi, e necessari per alimentare tutte le strutture provvisorie, gli stand degli espositori, o supportare picchi di richiesta, come nel caso del Centro Congressi che faceva anche da box per le Jaguar I-Pace da gara. L'equivoco è nato dal fatto che il generatore è stato fotografato nei pressi di una colonnina di ricarica, ma assolutamente non utilizzata per le operazioni di gara, ma solo per alcune vetture in prova (probabilmente Smart elettriche). Dalla foto inoltre si vede chiaramente che la colonnina non è collegata, e potrebbe quindi anche trattarsi di un'immagine che ritrae una posizione non definitiva, e due apparati non necessariamente collegati tra loro. I generatori Aggreko sono piuttosto comuni e vengono utilizzati in tante occasioni, dai concerti alle fiere, fino a eventi sportivi di vario genere.


Si può migliorare?
In questo caso la risposta è: assolutamente sì. Le strutture provvisorie, spesso ancora ancorate a modi di ragionare vecchi e mal ottimizzate, potrebbero essere meno energivore, e abbassare quindi l'impatto generale della manifestazione. Allo stesso tempo alcuni generatori, se non tutti, potrebbero essere sostituiti da accumuli con batterie al litio, così da caricarsi durante la notte a bassa potenza, disponibile localmente, ed erogare poi energia ad alta potenza nei momenti di picco. Il problema attuale è che le società di noleggio non sono ancora così aggiornate e non dispongono di questo tipo di apparati.

In ogni caso il punto è chiaro. La Formula E vuole promuovere uno stile di mobilità più sostenibile e non ha affatto un'anima inquinante. L'impatto dell'evento resta assolutamente inferiore a molti altri di dimensione simile, e ovviamente nettamente inferiore ad altre manifestazioni motoristiche classiche. In più come abbiamo visto, l'assunto iniziale era completamente fuori strada, frutto di una analisi frettolosa.

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