16 dicembre 2021

Stiamo diventando come le "rane bollite" di Chomsky?

Conoscete il “principio della rana bollita”? E’ utilizzato dal filosofo americano Noam Chomsky per descrivere la Società e i Popoli che accettando passivamente, il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica, accettano di fatto la deriva. 

Non ci sono basi scientifiche a dimostrare questo principio, ma è un ottimo spunto, valido in sociologia e psicologia, per spiegare determinati comportamenti. 

Ma cominciamo dall’inizio, di cosa stiamo parlando? 

Mica penserete davvero che vogliamo mostrarvi come bollire una rana. Assolutamente no, questo principio serve a spiegare la capacità di adattamento che ha l’uomo e che spesso questo adagiarsi e accettare gli eventi porta inesorabilmente alla morte, e infatti c’è chi afferma che non ha importanza la durata della vita, ma la qualità.



«Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50°C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone» e si sarebbe salvata. 

Questo per far comprendere che la mente così come il corpo dell’essere umano, adattandosi a provvedimenti gradualmente piccoli ma via via crescenti, potrebbero essere portati al relativo decadimento se si superasse il “punto di non ritorno”, cioè se si oltrepassasse la condizione oltre la quale il cambiamento diventerebbe irreversibile.

Il principio della rana bollita nella vita di tutti i giorni

In quali occasioni del quotidiano ci si comporta come la rana? Per esempio, quando ci si trascina in una relazione che non funziona, si resta legati a un lavoro insoddisfacente e più in generale si vive un’esistenza che non si sente propria e che è causa di frustrazione e infelicità.

Le prime avvisaglie vengono ignorate o giustificate. All’inizio, non si fa caso alla distanza emotiva o (peggio) alla violenza verbale e psicologica del partner oppure la si riconduce a un momento di stress. L’atteggiamento aggressivo e svalutante del capo e dei colleghi è vissuto come competizione o è considerato la conseguenza di una propria mancanza o errore. Il senso di vuoto e negatività che si prova viene addotto a un periodo di stanchezza oppure rimane inascoltato del tutto.

Questi comportamenti sono messi in atto in maniera più o meno cosciente di continuo e generano un circolo di assuefazione e adattamento, che porta ad accettare (o a ritenere inevitabili) situazioni sempre più insostenibili e a camminare su un filo sempre più sottile. Fino alle estreme conseguenze, ovvero al momento in cui la rana muore bollita. Allora, il ciclo viene interrotto da un evento dirompente, che ha un effetto sconquassante, a volte drammatico, se non addirittura violento, sull’esistenza di chi lo vive.

In definitiva il pensiero di Chomsky si può compendiare in questa citazione «se valutassimo quel che avviene nella nostra società da alcuni decenni, ne conseguirebbe che stiamo subendo una deriva alla quale ci stiamo abituando lentamente. Molte cose, che ci avrebbero inorridito venti, trenta o quaranta anni fa, gradualmente sono diventate banali, mitigate e, oggi, ci disturbano poco o lasciano la maggior parte delle persone sicuramente indifferenti. In nome del progresso e della scienza, i peggiori attentati alle libertà individuali, alla dignità della persona, all’integrità dell’ambiente naturale, alla bellezza e alla felicità di vivere, si attuano lentamente e inesorabilmente con la complicità costante delle vittime, ignoranti o sprovvedute».