30 settembre 2018

Asia Argento da Giletti: "Voglio tornare a X Factor, l'Italia mi vuole"

Finisce in lacrime l'appassionata autodifesa di Asia Argento nell'intervista con Massimo Giletti a Non e' l'arena, in onda ieri sera su la7. L'attrice ha espresso il desiderio di "tornare a X Factor, a fare il mio lavoro" come giurata. "L'Italia mi vuole", ha detto Asia, difendendosi ancora una volta dalle accuse di aggressione sessuale. Ecco, su l'Italia mi vuole potremmo aprire una discussione.


Asia Argento: "Bennett è un'anima persa, voglio tornare a X Factor"

Finisce in lacrime l'appassionata autodifesa di Asia Argento nell'intervista con Massimo Giletti a Non e' l'arena, in onda ieri sera su la7. L'attrice ha espresso il desiderio di "tornare a X Factor, a fare il mio lavoro" come giurata. "L'Italia mi vuole", ha detto Asia, difendendosi ancora una volta dalle accuse di aggressione sessuale mossele dall'attore Jimmy Bennet, all'epoca minorenne. "La cosa che più mi ha ferito - ha detto l'attrice - è stata essere chiamata pedofila", "io ho dei figli e quello è uno stigma che non auguro a nessuno".

Argento ha rivelato che i suoi figli "hanno sofferto tantissimo" e che "ho mandato mio figlio a vivere negli Stati Uniti con il padre per evitare episodi di bullismo".     Il conduttore, che una settimana fa aveva ospitato Bennet, ha lanciato un appello per la riammissione di Asia a X Factor, sostenendo che la sua esclusione è "un errore assoluto", "chi deve decidere che ci pensi bene", ha detto citando l'amministratore delegato di Sky, Andrea Zappia.     L'attrice ha ribadito che non sapeva che Bennett fosse minorenne e ha raccontato che l'attore che l'ha denunciata dopo la morte del suo ex compagno, Anthony Bourdain, "mi è saltato addosso, mi ha messo di traverso sul letto, ha fatto quello che doveva fare senza preservativo, sarà durata due minuti, io gli ho detto come ti è venuta questa cosa, non mi sono mossa, non ho provato niente, lui mi ha risposto che ero il suo sogno da quando aveva 12 anni, e si è fatto questo selfie...".    

Asia ha ribadito che è stata di Bourdain l'idea di pagare il silenzio del giovane attore, mentre lei non voleva perche', ha confermato, erano tutte "menzogne". Vedere l'intervista a Jimmy Bennett "mi ha fatto arrabbiare un po', ma mi ha fatto soprattutto pena. Perché i suoi occhi erano vitrei e non c'era nessuna espressione sul suo volto. L'ho visto come un bambino che poi non è riuscito a proseguire la sua carriera, un'anima persa".

Nel corso della trasmissione è andata in onda anche un'intervista a Rain Dove, la compagna di Rose mcGowan che ha diffuso i messaggi su Bennett dell'attrice italiana: "Rain Dove mi fa schifo, mi fa vomitare, è una persona senza scrupoli, veramente brutta. Queste due donne - dice Asia alludendo anche a Rose McGowan - hanno venduto quei messaggi in maniera selezionata, dicendo che avevo ricevuto foto nude di Bennett da quando aveva 12 anni, ma non era vero. La gente per quello ha cominciato a chiamarmi pedofila ed è la cosa che più mi ha ferita".

Secondo Asia Argento Rain Dove, Rose McGowan e Jimmy Bennett "sono tutte persone affamate di denaro che non si fanno scrupolo degli altri esseri umani. E ho le prove di tutto quello che dico". "Io ho dei figli - ha aggiunto- e quello è uno stigma che non auguro a nessuno. Per la morte di Anthony, per questo, non so come riesco ancora a stare in piedi. Non sono sola, ho i miei figli che hanno sofferto tantissimo".

"Dopo la morte di Bourdain un abisso" "Il suicidio di Anthony Bourdain è stato un momento inimmaginabile. Sono ancora là, al momento in cui il manager mi ha detto, in una breve telefonata, che si era tolto la vita. Dopo si è aperto un abisso, ho sentito la disperazione, il senso di colpa per non aver visto il suo dolore, lui non me l'aveva mai mostrato" dice. "Era Bourdain che proteggeva me - aggiunge - ero io quella depressa, lui mi ripeteva che saremmo stati felici. Mi ha dato i due anni più belli della mia vita e quelli non me li toglie nessuno". Quando Giletti le chiede se pensa che il suicidio possa essere stato legato al fatto che lei avesse avuto un'altra relazione, risponde: "Non riesco a credere che una persona come lui, così saggia, profonda e intelligente, si sia tolta la vita per la relazione con qualcun altro. Poi gliene avevo anche parlato".

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29 settembre 2018

La ricetta di Renzi: deficit al 2,9% per cinque anni

In questa giornata funesta per i mercati italiani, con la borsa di Milano che ha perso il 3,72% e lo spread schizzato a 280 per poi chiudere a 267 punti, all'indomani del Consiglio dei ministri che ha visto affermarsi la linea di Lega e M5s per un rapporto tra deficit e Pil al 2,4% nel Def, è diventato virale l'articolo del Sole24Ore del 9 luglio 2017, in cui Matteo Renzi affermava di volerlo portare addirittura al 2,9% per 5 anni.



La sfida di Renzi alla Ue: deficit al 2,9% per cinque anni

Dal 2018 l’Europa discuterà di come spendere i soldi del periodo 2020-2026. Noi ogni anno mettiamo sul tavolo più o meno 20 miliardi di euro e ne riprendiamo 12. Il saldo netto è dunque negativo. Bene, giusto così. Nessuna piccola polemica provinciale: siamo un grande paese, è giusto aiutare chi è in difficoltà. Si chiama solidarietà. La solidarietà però non si ferma alle questioni economiche

Se, davanti alla crisi migratoria, i paesi dell'Est – che beneficiano dei contributi nostri e degli altri paesi – non collaborano, non devono poi stupirsi se i criteri di bilancio cambiano. La solidarietà non sta solo nel prendere, ma anche nel dare. In mancanza di un diverso atteggiamento da parte loro sull'immigrazione, dovrà cambiare il nostro atteggiamento sui denari. Qualcuno lo chiama ricatto politico, io lo chiamo principio etico. E, quando tratterà questo punto, il prossimo governo dovrà farsi valere con determinazione e senza incertezze. Su questo punto forse sono un inguaribile romantico ma mi piacerebbe che tutte le forze politiche italiane, nessuna esclusa, per una volta remassero nella stessa direzione.

L’Italia chiede all'Europa di assumere la regola “un euro in cultura, un euro in sicurezza”.

L’Italia chiede all'Europa di rispettare le disposizioni sul surplus commerciale che sono oggi totalmente disattese dalla Germania, creando un danno all'intero continente.

Io ho combattuto contro una visione anti-italiana in Europa. Una visione fatta di pregiudizi più che di giudizi. La visione per la quale un semisconosciuto ministro olandese, per caso presidente dell'Eurogruppo, può dire che i paesi del Sud spendono i soldi per donne e alcol. Una considerazione che, prima ancora di essere sessista e razzista, è stupida. Il presidente della Commissione Barroso ha detto di aver salvato l’Italia in più di una circostanza. Non ho mai apprezzato molto lo stile di Barroso. Quando è stato assunto con super stipendio da Goldman Sachs, mi ha colpito l’attacco durissimo che gli ha rivolto François Hollande. Io ne sono rimasto fuori: più che di Barroso – che ha fatto benissimo ad accettare, dal suo punto di vista – l’errore è stato di Goldman Sachs. È proprio vero che non ci sono più le banche d’affari di una volta.

Non accetto che l’Italia sia trattata come una studentessa indisciplinata da rimettere in riga. È un atteggiamento che fa male all'Europa, che, da speranza politica, diventa guardiana antipatica. E il mio paese non lo merita.

Non sopporto nemmeno il provincialismo italiano, per cui una cosa diviene importante solo se rilanciata da un oscuro terzo portavoce del vicecommissario a Bruxelles. Su questo la nostra stampa si muove in modo provinciale. In Francia nessuno dedica così tanto spazio agli euroburocrati. Un po’ è colpa anche del centrosinistra – diciamo la verità –, che per cacciare Berlusconi ha fatto leva anche sull’Europa, permettendole di entrare in casa nostra. Negli altri paesi non accade così. Ma non è solo un problema legato a Berlusconi. Per anni una parte delle élite di questo paese ha considerato l’Europa come lo strumento per attuare in Italia riforme altrimenti irrealizzabili. Ci sono stati premier che sono andati in Europa come noi andavamo a scuola: con la giustificazione in mano. E poi tornavano a casa dicendo: «Ce lo chiede l’Europa».

Perché erano convinti che facendo così avrebbero “fatto capire” al popolo italiano le cose da fare. Quella stagione ha forse migliorato i conti pubblici ma ha disintegrato l’idea di Europa che i padri fondatori ci avevano consegnato.

Bene, quella stagione l'abbiamo messa in soffitta, spero per sempre. Adesso non è l’Europa che chiede all’Italia di cambiare, ma l’Italia che chiede all’Europa di tornare se stessa. Di riabbracciare quei valori che l’hanno fatta grande. Di recuperare la dimensione della sfida.

Chi ci sta, ci sta. Politica fiscale comune, sicurezza e politica estera unitaria, elezione diretta del governo europeo. Questo serve per fare ripartire di slancio l’Europa. È un orizzonte impegnativo. Ma è il nostro orizzonte. L’Europa deve tornare a scaldare i cuori. Ma per farlo non ci saranno nuove regole, nuovi trattati.

È inutile negarlo: per come stanno le cose nei ventisette paesi, è quasi impossibile scrivere nuove regole che siano universalmente accettate. A questo si somma il fatto che in molti paesi occorrerebbe un referendum di ratifica difficilissimo da vincere: gli ultimi esempi di referendum non sono stati incoraggianti, e noi ne sappiamo qualcosa, ma – pure su quesiti diversificati – dall’Olanda alla Francia fino a Regno Unito e Italia la classe dirigente ha sempre perso le sfide referendarie. L’unica eccezione, peraltro di misura, è la Turchia di Erdogan del 2017, ma è un esempio che fa storia a sé per decine di motivi e che sinceramente è fuori, in tutti i sensi, dalla cultura politica europea.

La nostra proposta, allora, è che per tornare credibile l’Europa torni simbolicamente in tre luoghi fisici: a Ventotene per quel che riguarda gli ideali; a Lisbona per la strategia; a Maastricht per la direzione economica.

A Ventotene perché quell'utopia, lanciata da personaggi che sembravano sconfitti e mandati al confino, ha superato ogni frontiera spaziale e temporale. Ed è viva, più che mai. Non siamo ancora agli Stati Uniti d’Europa, lo sappiamo. E probabilmente non ci arriveremo mai. Ma tornare all'Europa di Ventotene significa non limitarsi a fare delle istituzioni europee un condominio di buone pratiche in cui discutere di aspetti marginali. Significa riportare al centro della discussione la politica e non soltanto la tecnocrazia. E, simbolicamente, noi abbiamo offerto il progetto italiano per la creazione di una scuola europea che ospiti giovani del nostro continente e del Mediterraneo. Un progetto che coinvolga il vecchio carcere dell'Isola di Santo Stefano, diroccato e abbandonato, su cui il governo dei mille giorni ha investito 80 milioni di euro insieme alla Regione Lazio. E che faccia di quest’isola il centro della riflessione ideale e culturale dell’intero Mediterraneo.

L’Europa deve ritornare a Lisbona per ciò che attiene alla strategia e puntare a recuperare quel disegno proposto all?inizio del millennio e mai attuato: volevamo allora fare del nostro continente il luogo più avanzato nei settori della conoscenza e dell’innovazione. Le vicende di questi anni dimostrano che così non è stato. Dalla Silicon Valley al Sudest asiatico, molte altre regioni del mondo sono più competitive di noi in questo settore. Ma qui si gioca il futuro, e non possiamo lasciarlo solo agli altri. E sicuramente vale la pena prendere in considerazione la necessità di uno sforzo maggiore sull'alfabetizzazione digitale. L’Europa dovrebbe a mio giudizio farsi portatrice di una iniziativa coraggiosa che dia a tutti la capacità di essere protagonisti e non solo consumatori passivi del mondo nel quale stiamo entrando. Si tratta di effettuare una gigantesca campagna di alfabetizzazione digitale che, partendo dalle scuole dell’infanzia, introduca il coding tra le materie insegnate in tutte le scuole europee e permetta al nostro continente di cogliere fino in fondo le opportunità offerte dalla quarta rivoluzione industriale.

La società della conoscenza, della ricerca, dell’innovazione segna oggi in modo profondo il futuro anche economico delle nazioni. Le classifiche americane sulla ricchezza vedono sempre di più nelle prime posizioni realtà che hanno scommesso sull’innovazione, e lo stesso Prodotto interno lordo americano è costituito quasi per il 50% da attività nate, sviluppate e cresciute nell’ultimo quarto di secolo. Se a questo si aggiunge – come vedremo nel prossimo capitolo – che una sfida chiave per l’Italia e per l’Europa è quella culturale nel rapporto tra identità e sicurezza, ci rendiamo conto che tornare a Lisbona 2000 significa tornare a fare dell’Europa il luogo dove la globalizzazione può diventare gentile e civile.

Infine, tornare a Maastricht. Per la mia generazione questa cittadina olandese dal nome difficilmente pronunciabile era sinonimo di austerità. Stare dentro i parametri di Maastricht sembrava un’impresa quasi impossibile, al punto che quando l’Italia raggiunse quel traguardo per molti fu festa grande. Oggi Maastricht – paradossalmente – ha cambiato significato. L’avvento scriteriato del Fiscal compact nel 2012 fa del ritorno agli obiettivi di Maastricht (deficit al 3% per avere una crescita intorno al 2%) una sorta di manifesto progressista.

Noi pensiamo che l’Italia debba porre il veto all'introduzione del Fiscal compact nei trattati e stabilire un percorso a lungo termine. Un accordo forte con le istituzioni europee, rinegoziato ogni cinque anni e non ogni cinque mesi. Un accordo in cui l’Italia si impegna a ridurre il rapporto debito/Pil tramite sia una crescita più forte, sia un’operazione sul patrimonio che la Cassa depositi e prestiti e il ministero dell’Economia e delle Finanze hanno già studiato, sebbene debba essere perfezionata; essa potrà essere proposta all'Unione europea solo con un accordo di legislatura e in cambio del via libera al ritorno per almeno cinque anni ai criteri di Maastricht con il deficit al 2,9%.

Ciò permetterà al nostro paese di avere a disposizione una cifra di almeno 30 miliardi di euro per i prossimi cinque anni per ridurre la pressione fiscale e rimodellare le strategie di crescita. La mia proposta è semplice: questo spazio fiscale va utilizzato tutto, e soltanto per la riduzione delle tasse, per continuare l’operazione strutturale iniziata nei mille giorni. A chi legittimamente domanda: «E perché, se ne sei così convinto, non lo hai fatto prima?» rispondo semplicemente: «Perché non ce lo potevamo permettere». Quando siamo arrivati, la parola d’ordine per l’Italia era reputazione.

Mostrarci capaci di fare le riforme. Il Jobs Act, il decreto sulle popolari, l’abbassamento delle tasse, la spending review, l’Expo, il rinnovamento anche generazionale hanno mostrato che l’Italia è in grado di farcela. Ma non basta, adesso. La prossima legislatura, qualunque sia il giorno in cui comincerà, dovrà mettere sul tavolo uno scambio chiaro in Europa: noi abbassiamo il debito, ma la strada maestra per farlo è la crescita. Quindi abbiamo bisogno di abbassare le tasse. Punto.

Questo obiettivo – che porterà il deficit italiano a essere comunque più basso di quello di Francia e Spagna e vedrà un'inversione strutturale della curva debito/Pil – sarà la base della proposta politica del Pd per le prossime elezioni. Ma è soprattutto un obiettivo ampiamente condiviso dai principali soggetti privati che operano sui mercati internazionali e intorno al quale c’è un consenso diffuso: senza una grande scommessa sulla crescita, l’Italia non ripartirà mai.

Per farlo occorre una visione di medio periodo, non limitata al giorno dopo giorno. Quando la prossima legislatura entrerà nel vivo dovremo uscire dallo stillicidio della trattativa mensile con Bruxelles e proporre al mondo finanziario ed economico un piano industriale degno di un paese solido e credibile. Noi siamo pronti, anche nei dettagli.

Aspettiamo solo le elezioni, adesso. Perché una sfida così grande ha bisogno di un governo di legislatura per negoziare un accordo duraturo a Bruxelles. Ma aspettiamo soprattutto che l’Europa torni a fare l'Europa. Torni a Ventotene, negli ideali; a Lisbona, nella strategia; a Maastricht, nella crescita. Non è un tour, non è un viaggio: è, più semplicemente, l’ultima possibilità che abbiamo.

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28 settembre 2018

Uragano in formazione sullo Ionio: venti fino 160km/h

Un termine nuovo irrompe nella scena meteo italiana: il Medicane. Derivate dall'unione delle parole Mediterranean Hurricane, Medicane sta ad indicare un vero e proprio uragano, che con le dovute proporzioni, è in formazione in questo periodo tra il Mar Ionio e il Mar Egeo.


METEO: nuovo aggiornamento URAGANO MEDICANE, primo della Storia del Mediterraneo. Effetti in Italia

In queste ore il tratto di mare tra il Mar Ionio e il Mar Egeo fino al Mar libico risulta particolarmente più caldo della norma con valori 8°C superiori alla media di questo periodo.

Complici le infiltrazioni di aria fresca che giungono da nord-est a tutte le quote, a seguito dei contrasti con la superficie del mare caldissima, si formerà una struttura ciclonica di particolare violenza che successivamente nella giornata di venerdì 28 Settembre e Sabato 29 assumerà caratteristiche di uragano vero e proprio; sebbene i cicloni mediterranei in formazione tra il Mar Ionio e il Mar Egeo, spesso anche sfiorando la Calabria e la Sicilia, in passato abbiano già più volte raggiunto delle caratteristiche paragonabili ad una tempesta tropicale, questa volta siamo di fronte realmente e per la prima volta ad un uragano di categoria 1 o 2, con venti oltre i 160km/h: esso assumerà caratteristiche ancor più vistose con la presenza di un occhio ben visibile e attorno al quale i corpi nuvolosi ruoteranno in senso antiorario apportando precipitazioni di entità eccezionale. In gergo tecnico, volendo scomodare gli inglesi, tale fenomeno è chiamato "MEDICANE", dalla buffa unione delle parole MEDIterranean hurriCANE ovvero Urgano del Mediterraneo, ma in sostanza si tratta di un uragano.

Come spesso accade quando si cerca di prevedere questo tipo di fenomeni estremi, la traiettoria risulta spesso imprevedibile, tuttavia allo stato attuale sembra che il primo vero Uragano della Storia del Mediterraneo possa lambire la Sicilia e la Calabria, per poi dirigersi verso la Grecia e l’isola di Creta, dove potrebbe verificarsi un episodio di maltempo di inaudita ed inedita violenza per queste zone del Mediterraneo.

Ad ogni modo vi descriviamo la traiettoria aggiornata.

Il ciclone dovrebbe raggiungere la sua forma completa nel corso della giornata di oggi Venerdì 28, al largo delle coste siciliane. Come spesso accade quando si cerca di prevedere questo tipo di fenomeni estremi, la traiettoria risulta spesso imprevedibile anche a poche ore dall'evento, tuttavia dagli ultimi aggiornamenti sembrerebbe che questa specie di Uragano possa avvicinarsi pericolosamente alla Sicilia, in particolare le province di Siracusa e Catania, e la Calabria Ionica. Una situazione potenzialmente esplosiva tutta da seguire e monitorare ora dopo ora. L'allerta rimane altissima infatti non escludiamo infatti la possibilità di locali forti temporali e il rischio concreto di allagamenti. Mentre sulle coste venti tempestosi soffieranno con raffiche ad oltre 70 km/h con onde alte fino a 5 metri e il pericolo di mareggiate lungo i litorali più esposti. Fortunatamente la parte più pericolosa dell’Uragano dovrebbe rimanere in mare aperto con i venti che vicino all'occhio del ciclone soffieranno a più di 120 km/h.

Successivamente il Ciclone si allontanerà dalle nostre coste tra Sabato 29 e Domenica 30 puntando dritto verso la Grecia, dove, passando sul mare ancora caldo, potrebbe acquistare nuova forza per poi scatenare tutta la sua potenza lungo i litorali ellenici e su Creta, ove sussiste già un'allerta massima per il rischio di imminenti alluvioni, raffiche violente ad oltre 160 km/h e onde altissime fino a 12 metri. 

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27 settembre 2018

Rubava oro tra le macerie: era un addetto della PicenAmbiente

Più che puliva, ripuliva. Un dipendente della ditta incaricata di rimuovere le macerie, è stato denunciato dopo che nella sua abitazione a Grottammare sono stati trovati degli oggetti in oro appartenenti agli sfollati del sisma. Collanine, gioielli, ma anche elettrodomestici e utensili di vario genere che aveva trovato mentre smistava le macerie del terremoto. 



Rubava oro tra le macerie, lo sciacallo era un addetto della PicenAmbiente

Più che puliva, ripuliva. Un dipendente della PicenAmbiente, è stato denunciato dai carabinieri del comando provinciale di Ascoli Piceno dopo che nella sua abitazione a Grottammare sono stati trovati degli oggetti in oro appartenenti agli sfollati del sisma. Collanine, gioielli, ma anche elettrodomestici e utensili di vario genere che aveva trovato mentre smistava le macerie del terremoto. L’azienda per cui lavora l’uomo, incensurato, una partecipata di vari Comuni del Piceno, in primis quello di San Benedetto, si è infatti aggiudicata nel 2017 il bando per l’affidamento della rimozione delle macerie, e proprio tra una pietra e un mattone, l’insospettabile sciacallo avrebbe rinvenuto quei beni rimasti incustoditi appropiandosene. Un bottino di qualche migliaio di euro.

Erano stati gli stessi proprietari degli oggetti ad insospettirsi e a fare segnalazioni ai carabinieri, che a quanto pare non hanno ancora chiuso l’indagine, coordinata dalla Procura di Ascoli Piceno. Le prove acquisite dagli uomini dell’Arma hanno portato a stringere i cerchio proprio sugli addetti alla rimozione. Per il momento solo un dipendente della Picenambiente è stato denunciato a piede libero per furto aggravato, ma potrebbero esserci infatti altri soggetti implicati nella vicenda. L’indagine della Procura è tutt'altro che chiusa perché dall'inventario dei beni da recuperare mancherebbero all'appello diversi oggetti che potrebbero essere finiti nelle mani sbagliate, anziché essere riconsegnate ai legittimi proprietari.

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26 settembre 2018

Massaggiatrice lo tocca durante il trattamento, ma lui non ci sta

Sulla scia di questa ondata di denunce di violenze, vere o presunte, che la stampa ci sta propinando giornalmente, capitano anche dei casi, abbastanza particolari, che fino all'avvento di #MeToo non avremmo sicuramente letto suo giornali. E' il caso di questo ragazzo, toccato da una massaggiatrice poco professionale, che decide di denunciare tutto.


Massaggiatrice lo tocca durante il trattamento, 23enne sporge denuncia: «Mi ha molestato»

Accusa di molestie la massaggiatrice da cui si era recato per un trattamento. Josh Burbridge da Tonbridge a Kent aveva prenotato un massaggio sportivo per poter curare il suo mal di schiena, ma la donna che avrebbe dovuto farle il trattamento ha provato ad abusare di lui.

Come riporta il Daily Mail, la donna avrebbe tentato di afferrare i genitali del giovane 23enne chiedendo ala fine del trattamento 40 sterline al posto delle 35 pattuite, probabilmente irritata per il rifiuto. «Inizialmente mi sono sentito in imbarazzo», ha raccontato il ragazzo, «pensavo facesse parte del trattamento ma mi stavo sentendo a disagio nel sentire come mi toccava». La donna avrebbe iniziato a massaggiargli le gambe e poi l'inguine nel tentativo di palpargli i genitali.

Il giovane ha deciso di denunciare tutto alla polizia che adesso sta indagando sul caso. 

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25 settembre 2018

Accusati di estremismo: messi al bando i testimoni di Geova

La curiosa notizia, riportata da questo sito internet, racconta di come la Russia, abbia messo al bando i testimoni di Geova, dopo che la Corte Suprema li ha accusati di essere un gruppo di estremisti.


Russia, messi al bando i testimoni di Geova

La Russia ha messo al bando i Testimoni di Geova dopo che la Corte Suprema li ha accusati di essere un gruppo "estremisti".

La Russia ha messo al bando i Testimoni di Geova dopo che la Corte Suprema li ha accusati di essere un gruppo "estremista”. Una sentenza in cui si vieta all’organizzazione religiosa ogni attività sul territorio russo e con la quale si confiscano tutti i beni a favore dello Stato. Secondo il ministero della Giustizia “costituiscono una minaccia per i diritti dei cittadini, l'ordine pubblico e la sicurezza pubblica”.

Dal canto loro gli avvocati dei Testimoni di Geova hanno dichiarato che impugneranno la decisione del tribunale, che non è ancora entrata in vigore, per portare il loro caso anche davanti alla alla Corte europea dei diritti dell'uomo.

I Testimoni di Geova, conosciuti per la predicazione porta a porta, rifiutano alcune delle credenze fondamentali del cristianesimo e hanno più di 8,3 milioni di membri in tutto il mondo. Il gruppo statunitense ha generato controversie per le sue posizioni, tra cui il suo rifiuto di trasfusioni di sangue e l'opposizione al servizio militare, affrontando processi giudiziari in diversi Paesi.

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24 settembre 2018

Il Museo delle vittime del genocidio

Vilnius – L’ultimo gesto di papa Francesco in Lituania, nel pomeriggio di ieri, è stato una visita e una preghiera a due monumenti: quello del ghetto ebraico, distrutto 75 anni fa dai nazisti, e quello delle vittime delle occupazioni e lotte per la libertà. Il pontefice ha anche visitato il Museo delle vittime del genocidio. Quest’ultimo è un edificio che una volta era usato come tribunale e poi adibito a prigione e luogo di tortura durante il regime comunista, abbandonato dal Kgb solo nel 1991. Si calcola che almeno mille persone siano state giustiziate in questo luogo. 


Museo delle vittime del genocidio di Vilnius

Siamo a poche centinaia di metri dalla piazza della Cattedrale di Vilnius: un luogo fortemente simbolico per tutti i lituani e, più in generale, per tutti gli abitanti delle Repubbliche Baltiche. Qui, infatti, nell’agosto del 1989 partì la protesta popolare contro l’URSS: da Vilnius e fino a Tallinn due milioni di persone si tennero pacificamente per mano, formando una catena umana – la cosiddetta Catena Baltica – lunga circa 600 chilometri.


All’esterno il palazzo è abbastanza anonimo, austero come tanti altri che è possibile incontrare nelle grandi città dell’Est. Eppure questo non è esattamente un edificio come gli altri: e lo testimoniano, in un angolo, in basso, i nomi delle vittime incisi sulle pietre delle pareti esterne. Parliamo del Museo delle Vittime del Genocidio, forse più noto come Museo del KGB. A partire dal 1944, quando la Lituania tornò sotto il controllo dell’URSS, e fino al 1991, anno in cui il Paese riconquistò l’indipendenza, infatti, l’edificio è stato utilizzato dal KGB: oltre a ospitare i funzionari del Comitato per la Sicurezza di Stato, fungeva da luogo per gli interrogatori e da prigione per tutti gli oppositori politici del regime comunista. Secondo alcune stime, sono oltre mille le persone che qui hanno perso la vita soltanto tra il 1944 e gli anni Sessanta.


Ma la storia di orrore di questo palazzo parte ancora prima: dopo che i nazisti invasero la Lituania nel 1941, l’edificio fu adibito a quartier generale della Gestapo. Per rendersi conto della tragedia patita dal popolo lituano sotto i nazisti è sufficiente citare un dato: in tre anni, tra il 1941 e il 1944, soltanto a Vilnius (all’epoca considerata la Gerusalemme di Lituania) furono uccise circa 100.000 persone, un terzo degli abitanti della città, perlopiù ebrei.

Proprio per ricordare gli orrori dell’occupazione nazista prima e di quella sovietica poi, il Ministro della Cultura della Lituania, insieme con il gruppo dei prigionieri politici scampati alla morte e degli esiliati, ha voluto convertire il palazzo del KGB in un luogo della memoria. Il Museo delle Vittime del Genocidio è stato inaugurato ufficialmente nell’ottobre del 1992.

Organizzato su tre livelli, oggi ospita una collezione di documenti e reperti che testimoniano la brutalità della repressione subita dai lituani nei cinquant’anni di sottomissione agli occupanti tedeschi e russi. Non solo: nell’edificio sono conservati anche documenti della resistenza anti-nazista e anti-sovietica e oggetti appartenuti a oppositori e alle vittime del genocidio.

Ma la parte del Museo delle Vittime del Genocidio più significativa è rappresentata dalle prigioni che il KGB creò nel piano interrato dell’edificio nell’autunno del 1940. Originariamente le celle erano 50: furono poi ridotte a una ventina, in quanto alcune furono sacrificate per creare spazio agli archivi del Comitato per la Sicurezza di Stato. Oggi le celle visitabili sono 19.

Mentre si cammina lungo il corridoio su cui si affacciano le varie celle, aumenta il senso di disagio. Impossibile – anche per chi si ritiene mentalmente preparato: chi scrive, per dire, ha visitato in passato i campi di concentramento di Auschwitz, Birkenau e Mauthausen – non rimanere angosciati, soprattutto al pensiero che il KGB utilizzò l’edificio fino a poco più di vent’anni fa. Alcune istantanee: le due celle di isolamento, da 60 centimetri quadrati l’una; la camera della tortura dell’acqua, con i prigionieri costretti a stare in piedi su un basamento metallico di non più di 20-30 centimetri di diametro per non finire nell’acqua gelata che ricopriva tutto il pavimento della cella; le celle dalle pareti imbottite, completamente insonorizzate; il cortile esterno, con orribili gabbie metalliche, sovrastate dalle postazioni di guardia. Ad acuire il senso di orrore è anche il freddo che attanaglia il visitatore: siamo nel pieno della primavera, eppure, nonostante indossi un cappotto, avverto una sensazione di gelo. E in inverno, penso?

Forte è anche l’impatto della stanza delle esecuzioni: sotto il pavimento di vetro, sono esposti oggetti di uso quotidiano, da scarpe a occhiali, appartenuti a vittime del genocidio. Questi oggetti provengono dalla zona di Tuskulėnai, in Lituania, dove furono massacrate migliaia di persone.


Per chi non vuole dimenticare e non vuole rinunciare a riflettere anche in vacanza, il Museo delle Vittime del Genocidio di Vilnius è un luogo assolutamente da non perdere. È aperto dal mercoledì al sabato, dalle 10 alle 18, e la domenica dalle 10 alle 17. C’è la possibilità di effettuare visite guidate. Per info: www.genocid.lt/muziejus/ [Link]




Di seguito alcune foto che ho fatto durante uno dei miei viaggi a Vilnius.


































23 settembre 2018

Anziano e malato, chiede di vedere il mare per l'ultima volta

A volte per fare la differenza bastano dei piccoli gesti come quello dell’equipaggio di un'ambulanza della Croce Rossa di Ivrea, che ha esaudito il desiderio di un 88enne, trasportato dalla Toscana al Piemonte per ragioni di salute. Il toccante messaggio della famiglia diventa virale sui social


Chiede di vedere il mare per l'ultima volta, l'ambulanza si ferma sulla spiaggia

Ha chiesto di poter vedere per l'ultima volta il mare della sua terra. Così l'ambulanza si è fermata e ha esaudito quel desiderio. È successo qualche giorno fa in Toscana, quando durante un trasferimento da Carrara ad Ivrea il personale volontario della Croce Rossa, con il permesso della famiglia, hanno fatto un piccolo cambio nel tragitto dirigendo il mezzo verso il lungomare di Carrara e poi, in uno spiazzo che si affaccia sulla spiaggia.

Qui il personale della Croce Rossa ha fermato l'ambulanza spalancano le porte del mezzo e dando la possibilità al pensionato di guardare il suo mare, quello della Toscana.

"Volevo ringraziare i quattro angeli volontari della croce rossa di Ivrea - segnala il figlio dell'88enne sui social - che ci hanno aiutato a trasportare il mio babbo in ambulanza da Carrara a Ivrea... e hanno acconsentito a fargli vedere, forse per l'ultima volta, il mare. Grazie Tiziana, Debby, Maurizio e Alessandro e naturalmente alla mia stupenda sorella che ha viaggiato con loro. Siete stati spettacolari".

La foto è stata pubblicata proprio dai volontari della Croce Rossa e spiega più di tante parole quello che è successo.




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22 settembre 2018

La statua di San Filippo suda

Nonostante la cautela della chiesa, che non ha rilasciato dichiarazioni, in provincia di Enna si grida già al miracolo, sulla presunta "sudorazione" della statua di San Filippo, patrono della cittadina. Il busto ligneo, che si si trova nella sacrestia della Reale abbazia nelle ultime ore avrebbe cominciato a sudare. 


“La statua di San Filippo suda”: nell’Ennese i fedeli gridano al miracolo

La Curia frena: chiusa la sacrestia dell'abbazia di Agira

Nonostante la cautela della chiesa, che non ha rilasciato dichiarazioni, ad Agira (Enna) si grida già al miracolo, sulla presunta "sudorazione" della statua di San Filippo, patrono della cittadina. Il busto ligneo, che si si trova nella sacrestia della Reale abbazia nelle ultime ore avrebbe cominciato a sudare. Un fenomeno che si sarebbe ripetuto più volte ed è stato ripreso in un video che testimonia la sudorazione del volto del santo.

Il vescovo di Nicosia, Salvatore Muratore ha raccomandato ai sacerdoti il massimo riserbo ma la notizia ha fatto il giro del paese è già da ieri la sacrestia è gremita di fedeli e curiosi. Nessun commento neanche dal parroco dell'abbazia don Giuseppe La Giusa.

Oggi la sacrestia è stata chiusa al pubblico ma il pellegrinaggio dei fedeli è comunque continuato davanti all'urna con le reliquie del santo che è nella chiesa. La statua di San Filippo raffigura il "Santo Nero", un uomo dalla pelle scura e con i paramenti sacerdotali. San Filippo d'Agira pare fosse di origini siriane. Nato dopo il V secolo, venne inviato ad Agira per sconfiggere le forze del male ed il paganesimo diffuso nella Sicilia centro orientale.

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21 settembre 2018

Polemica per le ragazzine raccattapalle

Diventa una polemica social a Vicenza, l'idea di sostituire i raccattapalle con una dozzina di ragazze di 15-16 anni in shorts, modello cheerleader, come avviene negli sport americani, e qualcuno su Facebook ha accostato la cosa ai femminicidi. 


Ragazzine raccattapalle in shorts, polemica Vicenza

Critiche a patron Rosso,post Fb 'e poi si parla di femminicidio'

Diventa una polemica social l'idea di sostituire i raccattapalle, quasi sempre giocatori delle giovanili, con una dozzina di ragazze di 15-16 anni in shorts, modello cheerleader come avviene negli sport americani. 

E' accaduto allo stadio Menti di Vicenza, in occasione del debutto in serie C contro il Giana Erminio del nuovo L.R. Vicenza, guidato dall'imprenditore Renzo Rosso della Diesel (anch'egli all'esordio da patron del club). La decisione di dare spazio alle raccattapalle-donna non era infatti stata annunciata dalla società alla vigilia e quindi l'ingresso delle ragazze, chiamate "Vicenza Girl" e risultate poi essere atlete della squadra under 16 dell'Anthea Vicenza di volley femminile, è stata una curiosa novità per i campi di calcio. 


Il 'debutto' sul rettangolo di gioco è stato accolto con un boato e un interminabile applauso dagli oltre 8 mila spettatori che affollavano l'impianto. La questione è diventata invece spinosa quando è approdata sui social: qualcuno ha postato le immagini di alcune di queste ragazze - rimaste poi per tutta la durata delle partita a bordo campo a raccogliere i palloni - vestite con una T-shirt verde sgargiante e shorts neri. 

Per alcuni l'abbigliamento era un po' troppo succinto: le giovani indossano dei pantaloncini molto simili a quelli utilizzati dalle pallavoliste in gara. "Si parla tanto di femminicidio - un post di critiche apparso su Facebook - del ruolo della donna nella società occidentale come modello positivo e poi il risultato è questo". 

L'intenzione della dirigenza, annunciata a fine gara, è di ripetere l'iniziativa in occasione delle prossime gare, coinvolgendo altre società sportive del vicentino, anche di altre discipline, nell'ottica, già dichiarata da Renzo Rosso, di fare del L.R. Vicenza la squadra di tutta la provincia.

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20 settembre 2018

Consigliere Pd critica il nome "fascista" del cane

È stato uno spettacolo abbastanza singolare quello visto qualche giorno fa, durante una seduta del consiglio comunale di Monza, quando a finire al centro del dibattito politico sono finiti i presunti orientamenti ideologici di un cane poliziotto.


Monza, consigliere Pd critica il nome "fascista" del cane poliziotto

Il consigliere comunale del Pd monzese Marco Lamperti ha richiesto delucidazioni in merito al nome del cane poliziotto in forza al comune. Il riferimento a un noto corpo militare della Repubblica di Salò è stato infatti giudicato di poco gusto

È stato uno spettacolo abbastanza singolare quella visto ieri durante una seduta del consiglio comunale di Monza, quando a finire al centro del dibattito politico sono finiti i presunti orientamenti ideologici di un cane poliziotto.

Il consigliere comunale del Partito Democratico Marco Lamperti, attualmente all'opposizione, ha infatti richiesto un'interrogazione allo scopo di chiarire la questione in merito al nome col quale è stato chiamato il cane poliziotto che ormai da qualche tempo fa parte dell’unità cinofila della Polizia locale monzese, con supporto alle attività di contrasto dello spaccio di stupefacenti.

Il cane, come si può leggere in un documento ufficiale dell'assessorato alla Sicurezza, risponde al nome di Narco della Decima Mas. Nome forse inusuale, nel quale però molti potranno cogliere un non troppo velato riferimento alla celebre Decima Flottiglia Mas, il corpo militare della Repubblica Sociale Italiana che dal 1943 al 1945 collaborò attivamente con le forze dell'esercito tedesco presenti nell'Italia settentrionale, come giustamente precisa lo stesso Lamperti durante il suo intervento, affermando: "Di poco gusto il riferimento alla Decima Mas. Forse non tutti sanno o si ricordano cosa ha rappresentato".



Dopo la dura presa di posizione del consigliere dem, a portare un po' di chiarezza in questa bizzarra situazione ci ha pensato proprio l'assessore alla Sicurezza della Lega Nord Federico Arena, che dati alla mano ha spiegato come Decima Mas sia banalmente il nome dell'allevamento cinofilo dal quale proviene il pastore tedesco Narco, ora in forza al comune di Monza. Nella corretta compilazione di un pedigree infatti, il nome dell'allevamento viene apposto a quello del cane come fosse una sorta di cognome, in modo da facilitare di conseguenza il riconoscimento dell'animale e le eventuali analisi genealogiche.

L'assessore leghista ha poi cercato di sdrammatizzare quella che era diventata una grottesca polemica, dichiarando: "Ho un goniometro e posso assicurare che in ogni movimento della sua zampa, Narco non fa il saluto romano. Ma non solo. Abbiamo fatto dei controlli nella sua cuccia e non abbiamo trovato busti di Mussolini." - aggiungendo - "Al Pd conviene informare per tempo l’onorevole Emanuele Fiano mica che presenti un’interrogazione urgente in Parlamento. State tutti tranquilli, non abbiamo un cane fascista”.

Non è peraltro la prima volta che le strade del Pd e quelle dell'allevamento Decima Mas si incrociano all'interno delle aule consiliari italiane. Già nel 2016 il sindaco del comune di Albenga rifiutò, in base a presupposti ideologici, l'arrivo di un cane antidroga nato nel suddetto centro cinofilo, spiegando successivamente le motivazioni del gesto: "Il nome dell’allevamento da cui proverrebbe, ‘Decima Mas’, ha un ruolo nella nostra scelta: è una questione di rispetto per la storia di Albenga. Se dovessimo prendere un cane antidroga, di certo lo faremmo da un altro allevamento e non da uno che porta il nome della milizia anti-partigiana della Repubblica Sociale Italiana".

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19 settembre 2018

Imprenditore piemontese: "Mi hanno fatto sloggiare per far posto alla parlamentare"

Questo signore dice di aver pagato 15 euro per quel posto in particolare ma che Alitalia lo ha spostato con la motivazione che era stato destinato ad un disabile. I soldi non gli sono stati ridati e invece di un disabile c'era un politico.



Boldrini sul volo Genova-Roma, l'imprenditore: "Mi hanno fatto sloggiare per far posto alla parlamentare. Con la scusa di un portatore di handicap"

Duilio Paolino scrive ad Alitalia: "Ho constatato che il mio posto era stato assegnato ad un politico e ai suoi accompagnatori, non ad un portatore di handicap come mi era stato detto"

Stupefatto e sdegnato, ha scritto una lettera infuocata al servizio clienti di Alitalia. Duilio Paolino, noto imprenditore piemontese, era sul volo AZ1391 che nel tardo pomeriggio del 16 settembre, decollando dall'aeroporto "Colombo" di Genova, si dirigeva verso Fiumicino. Lo stesso airbus sul quale viaggiava l'onorevole Laura Boldrini, che quel giorno rientrava nella capitale da Savona, dove in tribunale si era tenuta la prima udienza del processo che la vede opposta al sindaco di Pontinvrea, Matteo Camiciottoli, chiamato a rispondere di diffamazione per un post scritto su Facebook. 

La vicenda è snocciolata dallo stesso Paolino, che, dopo essere tornato nel Cuneese dove ha sede la sua "Cosmo" (azienda specializzata in macchinari per l'agricoltura), ha messo nero su bianco il suo racconto per informare l'ufficio relazioni con il pubblico di Alitalia. 

"Avevo prenotato il volo 1391 e avevo effettuato regolare pagamento upgrade con scelta del posto - riporta l'imprenditore - Al momento della registrazione mi viene comunicato che sono stato spostato al 20C senza che nessuno faccia riferimento al fatto che io avevo pagato 15 euro proprio per quello spazio; ma mi è stata data la motivazione secondo la quale una persona portatrice di handicap avrebbe dovuto avere quel posto. Non ho fatto alcuna obiezione e non ho nemmeno pensato a chiedere il rimborso". 

Salendo a bordo, però, Paolino si accorge che il sedile che aveva scelto al momento della prenotazione non è stato attribuito ad un viaggiatore con disabilità.

"Con grande stupore e arrabbiatura, ho constatato che il mio posto era stato assegnato ad un politico e ai suoi accompagnatori - puntualizza l'imprenditore - Non contesto il fatto che mi sia stata raccontata una bugia, ma è stato fuori luogo il modo e il comportamento adoperati dalla compagnia di fronte a clienti come il sottoscritto che paga regolarmente il biglietto e in viaggio per lavoro". 

L'imprenditore tira in ballo Alitalia, per la giustificazione che la compagnia di bandiera avrebbe accampato: la presenza di un portatore di handicap, poi rivelatasi non corretta. L'ex presidente della Camera, ignara delle decisioni della società aerea, si è limitata ad occupare il posto assegnatole. Ne è scaturita una discussione a bordo (con intervento della scorta che accompagnava la parlamentare) e l'imprenditore piemontese non ha potuto far altro, per principio, che protestare e addurre le proprie motivazioni; una volta tornato a casa ha scritto alla compagnia, chiosando: "Certe persone dovrebbero sedersi in quei posti dove siedono tutti, forse per cominciare a girare quel film 'Ritorno alla normalità'...".

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