Toto Cutugno, un post molto affettuoso quello dedicato sul suo profilo facebook ieri ai Måneskin per il passaggio del testimone della vittoria italiana all’Eurofestival, dopo 31 anni.
Che cosa le è piaciuto di più della performance dei quattro ragazzi romani?
«Mi è sembrata soprattutto originale: ecco, originali è la prima definizione che mi è venuta in mente dopo averli ascoltati».
I Måneskin cinque anni fa erano ancora una street-band, poi la popolarità conquistata ad “X Factor”, la vittoria a Sanremo. quella all’Eurofestival… Consiglio per non andare… “fuori di testa”.
«Stare sempre con i piedi per terra, trovare di continuo delle idee musicali interessanti, ricercare dunque, studiare, testi inclusi, ho capito che ai testi ci tengono parecchio. E, soprattutto, rimanere insieme, condividere la vita e il palco perché è evidente che questa è la loro forza come quella di ogni band».
La sua storia all’Eurofestival è strana: nel ’90 arriva secondo a Sanremo con «Gli amori», i Pooh che hanno vinto con “Uomini soli” non vanno a Zagabria e dunque tocca a lei, che porta però una canzone diversa da quella che ha presentato in Riviera, «Insieme: 1992», un brano di vocazione europeista. E vince. Come andò?
«Ero e sono innamorato di quella canzone. Ne avevo scritto il testo e la musica. Era un brano sinceramente ispirato, che mi apparteneva totalmente, lo sentivo mio. La soddisfazione che ho provato vincendo è stata immensa. Sono stato premiato anche per il miglior testo. Proprio come è accaduto ai Måneskin con la loro canzone quest’anno. Quella sera di maggio di trentun anni fa la ricordo ancora come un sogno e invece era realtà».
Vero che qualcuno voleva adottare la sua canzone come il nuovo inno del Vecchio Continente?
«Nei mesi successivi alla vittoria, nei miei spettacoli in giro per l’Europa, il pubblico mi accompagnava in coro. In particolare mi commossi una sera, durante un concerto in Romania: mi fecero trovare a sorpresa un gruppo di bambini che cantò “Insieme” come inno dell’unità europea. Niente frontiere, né confini, un’unica bandiera, tutti fratelli di un unico continente. Mi colpì molto quel gesto».
Qualcuno malignò che si trattasse di una furbata.
«Non mi risulta».
Quella del 1990 in realtà avrebbe dovuto essere la sua seconda partecipazione al contest europeo perché nel 1980 lei aveva vinto Sanremo con «Solo noi». Ma a L’Aja quell’anno si presenta Alan Sorrenti che a Sanremo non c’era nemmeno passato da turista. Che successe?
«Successe che mi incavolai parecchio… e mi incavolo ancora adesso, ricordandolo, a quarant’anni di distanza. Non me ne parli… Oh, l’unica volta che avevo vinto Sanremo».
Quali porte apre la vittoria all’Eurosong Contest? Lei nel ’90 aveva già una bella carriera alle spalle.
«I tempi erano diversi, diverse le strategie della discografia, del mercato, dell’immagine. Comunque a me ha dato la possibilità di fare televisione in vari Paesi europei. E questo in un periodo in cui la musica era ancora veicolata soprattutto attraverso la radio e la tv. Poi con le mie canzoni e con la mia band ho girato il mondo, ma sicuramente l’Eurosong ha contribuito alla mia popolarità internazionale».
Più di 100 milioni di dischi venduti, quasi 60 anni di carriera, una notorietà mondiale, tra un po’ 78 primavere anagrafiche: che cosa sta progettando l’inossidabile Cutugno per questo futuro si spera definitivamente post-pandemia?
«Per prima cosa mi auguro tanta salute, poi di divertirmi ancora facendo questo lavoro che è veramente un lavoro meraviglioso. E spero di ripartire presto con il tour mondiale per promuovere il mio nuovo disco che uscirà tra breve».
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