12 novembre 2019

I funerali di Pirandello: uno, nessuno, almeno tre

«Bruciatemi e disperdete le mie ceneri»: la prima cerimonia a Roma. Poi l'urna venne trasferita in treno ad Agrigento. Ultimo atto nel 1962



La pirandelliana storia delle ceneri di Pirandello

Quando il 10 dicembre del 1936 morì, i figli trovarono mezzo foglietto di carta spiegazzato in cui Luigi Pirandello aveva scritto:
« I. Sia lasciata passare in silenzio la mia morte. Agli amici, ai nemici preghiera non che di parlarne sui giornali, ma di non farne pur cenno. Né annunzi né partecipazioni. II. Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga, nudo, in un lenzuolo. E niente fiori sul letto e nessun cero acceso. III. Carro d’infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m’accompagni, né parenti, né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. IV. Bruciatemi. E il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me. Ma se questo non si può fare sia l’urna cineraria portata in Sicilia e murata in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti, dove nacqui ».

I punti uno, due e tre furono eseguiti a puntino, con grande scorno del regime – si dice dello stesso Mussolini – che avrebbe voluto fare un gran funerale fascista in pompa magna. Prima di rispettare le volontà espresse nel quarto punto, invece, trascorsero decenni e peripezie, e avventure e traversie degne proprio della penna di Pirandello. Ma procediamo con ordine.

IL PRIMO FUNERALE
Due giorni dopo la sua morte un carro d’infima classe portò una cassa d’infima classe al forno crematorio . Ma nessuno se la sentì di assecondare il suo desiderio di spargere al vento le ceneri, pratica a quei tempi inaudita prima ancora che illegale e avversata dalla Chiesa. Le ceneri furono allora raccolte in un’urna e portate al cimitero romano del Verano, dove rimasero per undici anni.

IL SECONDO FUNERALE
A guerra finita, nel 1947, il sindaco DC di Girgenti, nel frattempo divenuta Agrigento, Lauricella, rivendicò per la sua città l’onore di dare sepoltura ed esequie cristiane e solenni alle ceneri dell’illustre concittadino. Si rivolse niente di meno che al democristiano presidente del consiglio dell’epoca , Alcide De Gasperi, che – malgrado le notevoli difficoltà che in cui versavano ancora i trasporti – procurò un aereo militare americano per il trasferimento da Roma ad Agrigento. Ad accompagnare i resti del grande drammaturgo fu incaricato il prof. Gaspare Ambrosini, noto pirandelliano e pirandellologo e futuro presidente della prima Corte Costituzionale. Sistemate le ceneri in un prezioso vaso greco del V secolo avanti Cristo e imballatolo ben bene, a prova d’urti, in una cassa di legno, l’aereo era pronto a partire quando una decina di persone- tutti siciliani- si avvicinarono all’aereo poco prima del decollo chiedendo di poter usufruire di un passaggio. Il professore, conscio dei gravi problemi di spostamento di quei tempi parlamentò coi piloti dell’ Air Force e ne ottenne il consenso.
Mentre si sistemavano , qualcuno chiese ad Ambrosini cosa contenesse quella cassa così ben imbracata, e avutane la spiegazione disse: “Pirandello, quello che aveva chiesto che le sue ceneri fossero disperse al vento? Non è che il destino ha stabilito di accontentarlo proprio oggi…..” Calò un silenzio spettrale, mentre i passeggeri si guardavano l’un con l’altro,e sotto i sedili alzavano l’indice e il mignolo di una mano. Poi , appena le eliche cominciarono a girare, uno di loro chiese di scendere. Ambrosini parlò con i piloti, questi sospesero la procedura di decollo e il passeggero scese. Inutile dire che uno dietro l’altro lo seguirono anche gli altri nove. A questo punto i piloti si insospettirono e chiesero al professore spiegazioni. Questi le diede, ripetendo più volte la parola superstitions, che i due piloti ripetevano come una eco, scambiandosi occhiate d’intesa. Fu così che i due, di cui si sospetta avessero antenati siciliani , o napoletani, accampando varie scuse, si rifiutarono di partire.
Al prof Ambrosini, accompagnato dalla sua inseparabile cassa, non restò che salire su un treno: lo aspettava un giorno intero di viaggio. Tutto sarebbe filato liscio se , svegliatosi da un breve sonno, non si fosse accorto che la cassa era sparita. La cercò vagone per vagone e finalmente la trovò in mezzo a quattro individui che l’avevano utilizzato come tavolo per giocare a carte. Ignari, ovviamente, di fare una partita “col morto”, e che morto: un premio Nobel. Comunqe sia la recuperò. Arrivata finalmente ad Agrigento, l’Odissea della cassa non era ancora finita. Il vescovo della città Giovan Battista Peruzzo si rifiutava di dare la benedizione ad un vaso greco. Niente benedizione , niente funerali solenni: tutto l’organizzazione politico-propagandistica DC messa in piedi dal sindaco se ne andava in fumo. All’ultimo momento, quando la rinuncia ai funerali sembrava inevitabile, il vescovo si convinse a promettere la benedizione se la cassa con le ceneri fosse stata ospitata in una bara cristiana. Ma i cassamortari di Agrigento non avevano bare pronte; ci si dovette accontentare di una piccola bara bianca , di quelle per bambini. Ma lì la cassa non entrava. Allora fu necessario estrarre il vaso e assicurarlo per bene dentro la piccola bara. E fu così che finalmente Luigi Pirandello ebbe il suo secondo funerale. In pompa magna, come non avrebbe mai voluto.

IL TERZO FUNERALE
Il vaso greco e le sue ceneri vennero conservati nella casa natale di Pirandello, in attesa che il progettato monumento funebre a lui dedicato fosse realizzato in località Caos, proprio sotto il famoso pino al quale il drammaturgo era tanto affezionato Ma si sa come vanno le cose in Italia, l’opera fu pronta solo quindici anni dopo, nel 1962. E fu così che le ceneri di Pirandello ebbero la loro definitiva sistemazione e il loro terzo funerale. Presenti autorità civili e religiose, e personalità della cultura del calibro di Salvatore Quasimodo e Leonardo Sciascia, un cilindro d’alluminio dove erano state travasate le ceneri fu prima benedetto e poi murato dentro il monumento .

EPILOGO
Ma non è finita. Si racconta che l’incaricato del travaso, un impiegato del comune conosciuto come il dott. Zirretta, dovette sudare le sette camice per portare a termine l’operazione. Dopo tanti anni, ventisei per l’esattezza, le ceneri si erano calcificate all’interno del vaso. Armatosi di scalpello, Zirretta, aiutato da un paio di assistenti, le ridusse nuovamente in polvere e le versò nel contenitore di metallo. Ma il contenitore era troppo piccolo. Ne avanzava un discreta quantità. Che fare? Deve essersi accesa una lampadina nella mente dell’impiegato del comune agrigentino. Una lampadina luminosa, brillante. Prese le ceneri rimaste, le versò in un giornale e si diresse verso un dirupo, lì vicino, che dava sul mare. Ma non fece in tempo ad arrivarci: una folata di vento si portò via le ceneri. E fu così che le ultime volontà di Pirandello – il mio corpo appena arso, sia lasciato disperdere -furono (almeno in parte) rispettate.
Tutto è bene quel che finisce bene, direte voi. E invece non è ancora finita. Perché nel 1994 si scoprì che il famoso vaso greco del V secolo, conservato nel museo S.Nicola di Agrigento, conteneva ancora un po’ di ceneri di Pirandello. Evidentemente lo scalpello del dott. Zirretta non aveva funzionato sino in fondo. Si decise allora di sottoporre i resti dei resti di don Luigi all’esame del DNA. E ,sorpresa, si scoprì che solo una piccola parte di quelle ceneri appartenevano al Maestro. Il rimanente, la maggior parte cioè, ad altri corpi, non identificabili, che evidentemente erano state cremati nel lontano 1936 insieme a lui.
Confortati dalla scienza possiamo oggi dire, pirandellianamente, che quelle ceneri sono e non sono di Pirandello. E che nell’urna di metallo interrata al Caos, insieme a Pirandello ci sono tante altre persone sconosciute, dei signori nessuno. Come dire Uno, nessuno e centomila .

Onofrio Pirrotta

[Fonte]

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