Parla da un campo profughi in Siria la veneta Sonia Khediri, diplomata perito turistico, rinchiusa insieme ad altre cento donne di origini arabe partite dalla Russia, dalla Francia e dalla Germania per aderire al Califfato. Partita più per amore che per abbracciare l'integralismo islamico, ora cerca aiuto per poter tornare in Italia perché evidentemente si è resa conto di aver fatto una cazzata. Speriamo.
Sonia, la sposa trevigiana dell'Isis si è già pentita: «Loro amano il sangue, voglio tornare in Italia, aiutatemi»
TREVISO - «Pentita di esser partita per la Siria?». Passa qualche secondo prima della risposta, ma non batte ciglio mentre guarda la telecamere del Tg1: «Sì, ovvio». Sonia Khediri, con il volto coperto dal niqab, parla per la prima volta, ai microfoni della Rai, da un campo profughi in Siria. È rinchiusa qui assieme ad altre cento donne di origini arabe partite dalla Russia, dalla Francia e dalla Germania per aderire al Califfato. Stavano cercando di scappare. Sono le spose dell'Isis. Anzi, di più. Sonia, 21 anni, sarebbe stata addirittura moglie di Abu Hamza, emiro tunisino e numero due di Daesh, dal quale avrebbe avuto due figlie. Lei però nega. Ha in braccio un bambino mentre parla tradendo un'inflessione inconfondibilmente veneta e trevigiana nonostante siano passati quasi tre anni da quando ha abbandonato tutto e tutti a Onè di Fonte, dov'è cresciuta e dove si è diplomata come perito turistico.
VOGLIA DI FUGGIRE
«Daesh ama uccidere la gente, ama il sangue, ammazzano le persone senza motivo» racconta la 21enne fuggita di casa a 18 anni, nell'agosto del 2014, più per amore che per abbracciare l'integralismo islamico. O almeno così sembra sentendola ora, quando ogni sogno di una vita migliore e diversa sembra essere svanito. Conobbe un predicatore durante un viaggio in Tunisia, si lasciò convincere ad unirsi al Califfato e dopo mesi di contatti su internet fuggì in Siria per sposarlo, scoprendo al suo arrivo che era stato ucciso. Al suo posto, secondo quanto emerso sarebbe stata costretta a sposare Abu Hamza, di circa vent'anni più grande di lei. La Procura di Venezia, definendola di fatto un foreign figher e considerandola pericolosa, chiese il suo arresto in due diverse occasione. E in due occasioni il gip negò l'ordinanza di custodia cautelare. Difficile dire se la 21enne abbia abbracciato o mento le tesi integraliste di Daesh, ma ai microfoni del Tg1 dice chiaramente di aver tentato di tornare in Italia, senza però riuscirvi. «Mi ero messa in contatto con mio padre - dice -: mi disse che se fossi riuscita ad arrivare in Turchia mi avrebbe aiutato a venire a casa». «Non so nulla di lei, so solo che si è sposata con un tunisino in Turchia» ha sempre detto Lofti Khediri che invece, stando alla parole della figlia, ben sapeva a quale destino fosse andata incontro.
L'ORRORE
In Siria Sonia ha visto l'orrore. Ha vissuto a Raqqa, capitale dello Stato Islamico fino alla sua liberazione, dal 2015. Poi ha cercato riparo al seguito delle truppe jihadiste finché non è stata catturata. «Prendevano le gente dalle prigioni e la uccidevano - racconta cercando conforto e comprensione nello sguardo della giornalista Rai -, anche senza motivo. Ho sentito di teste mozzate attaccate ai pali della luce e una volta ho visto un cadavere appeso al mercato: quando viene ucciso qualcuno, il suo corpo viene esposto per tre giorni davanti a tutti». Da quell'inferno Sonia, il cui percorso di radicalizzazione appare del tutto simile a quello dell'altra foreign fighter partita dal Veneto, la 21enne di Azergrande Meriem Rehaily, avrebbe dunque cercato di scappare. Senza riuscirci.
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