23 agosto 2019

30 anni fa la Via Baltica: quando lettoni, estoni e lituani mostrarono al mondo la loro voglia di libertà

Il 23 agosto del 1989 un’immensa catena umana formata da oltre due milioni di cittadini estoni, lettoni e lituani, unì le tre capitali baltiche per denunciare il patto Molotov – Ribbentrop e affermare il proprio diritto alla libertà dall’occupazione sovietica.



30 anni fa la Via Baltica: quando lettoni, estoni e lituani mostrarono al mondo la loro voglia di libertà

Il 23 agosto del 1939, dieci giorni prima dello scoppio della II guerra mondiale, il ministro degli esteri tedesco Joachim Von Ribbentrop giunse a Mosca per firmare insieme al suo omologo sovietico, Vjaceslav Molotov un patto di non aggressione fra la Germania di Hitler e l’Urss di Stalin che darà il via libera all’inizio del conflitto mondiale.
Il patto di non aggressione venne reso pubblico, ma in quello stesso giorno Ribbentrop e Molotov firmarono anche un altro accordo, un protocollo segreto, con il quale Hitler e Stalin si spartiscono l’Europa orientale e i paesi baltici.


L’articolo 1 del protocollo diceva:
In caso di riassetto territoriale e politico nei settori appartenenti agli Stati baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), il confine settentrionale della Lituania rappresenta il confine delle sfere di influenza della Germania e URSS. A questo proposito l’interesse della Lituania nella zona di Vilna è riconosciuto dalle Parti.

Quel protocollo segreto segna, il 23 agosto del 1939, il destino di Lettonia, Lituania ed Estonia, che verranno invase nel 1940 dall’Armata Rossa, e poi nel 1941 dall’esercito tedesco nell’operazione Barbarossa, per poi tornare sotto l’occupazione sovietica fra il 1944 e il 1945. Un’occupazione che durerà poi fino al 1991.


Cinquanta anni dopo la firma del protocollo segreto, il 23 agosto del 1989, i tre popoli baltici decidono di mettere in atto una clamorosa azione di protesta pacifica, per denunciare la firma del protocollo segreto fra nazisti e sovietici e mostrare a tutto il mondo la loro voglia e il loro diritto a tornare ad essere paesi liberi ed indipendenti. E’ la Via baltica, una catena umana di circa due milioni di persone (il 25-30% degli abitanti complessivi dei tre stati) che scendendo in strada e prendendosi per mano compose una catena che attraversò i tre paesi baltici, unendo le capitali Tallin, Riga e Vilnius. Gli organizzatori avevano calcolato che fosse necessaria la partecipazione di almeno 200 mila persone in ciascuno dei tre stati per coprire la distanza prevista, ma scese in strada molta più gente, tanto che in diverse zone si crearono più file di catene umane.

Furono i movimenti di  liberazione popolare dei tre paesi baltici a ideare e organizzare la dimostrazione. Dainis Īvāns, il leader del Tautas Fronte lettone ricorda che lui, Vytautas Landsbergis, leader del movimento di liberazione lituano Sąjūdis, e Edgar Savisaar, a capo del Fronte popolare estone, si incontrarono in un piccolo caffè di Tallin, dove si promisero a vicenda di non permettere che ai loro popoli accadesse quello che era accaduto nel 1940.

L’idea di una grande manifestazione popolare era venuta per primo a Savisaar, ma poi il progetto trovò compimento nell’adesione degli altri due fronti popolari, lettone e lituano. L’accordo per l’azione di protesta comune fu firmato nella riunione dei tre fronti popolari nella città di Cēsis in Lettonia, il 12 agosto del 1989.
Non era per niente semplice organizzare una così vasta e clamorosa azione di protesta popolare in territorio sovietico.

“Il mio compito – ricorda Īvāns – era quello di suscitare nelle persone quel coraggio necessario per partecipare alla Via Baltica, che potesse superare le difficoltà oggettive che si presentavano all’epoca. Forse ha giocato un ruolo anche il fatto che avevamo il dubbio che molta gente potesse aver paura. Era molto importante che le persone si sentissero sicure, scendessero in strada con la consapevolezza che dipendeva tutto da ciascuno di loro. Il risultato è stato che nelle persone si è risvegliato questo senso del dovere, hanno capito che dovevano andare. C’era gente di ogni età, adulti, anziani, bambini. Si è trattato di un grande referendum popolare, un grande voto democratico a favore della libertà dei paesi baltici.”

Gli stessi organizzatori furono molto colpiti dal livello di auto controllo e auto organizzazione delle persone che parteciparono: “Ora possiamo affermarlo – prosegue Īvāns – le persone allora non si resero neanche conto che la Via Baltica, la più importante azione di protesta di quegli anni, non fu sostanzialmente guidata. Il Comitato centrale del Partito comunista ci aveva vietato di trasmettere la diretta attraverso i media, per volere di Mosca. E l’azione di protesta poteva essere al centro di qualsiasi atto di provocazione, senza neanche un forte controllo da parte degli organizzatori centrali. Ciò significa che ogni provincia, ogni persona, si è sentita particolarmente responsabile, affinché tutto procedesse nel verso giusto“.

Le comunicazioni fra gli organizzatori avvenivano via telefono, da un distretto all’altro, per informare e organizzare la gente nei vari punti di raccolta. “Padomju jaunatne” (Gioventù sovietica), pubblicò la mattina del 23 agosto una pagina con l’appello dei tre movimenti di liberazione nazionale alla gente per partecipare all’azione in programma nel tardo pomeriggio.


Alle 19 di quel 23 agosto 1989 un milione di estoni, 700 mila lituani e 500 mila lettoni si trovarono per strada per formare una immensa catena umana lunga 670 km., dal castello Toompea a Tallin, passando lungo la Lettonia, attraversando Riga e il monumento alla libertà nel cuore della capitale lettone, per proseguire a sud lungo la Daugava, fino a deviare in territorio lituano per raggiungere nel cuore di Vilnius la torre di Gediminas.

La radio estone e quella lituana trasmisero in diretta alle sette di sera, nel momento in cui partecipanti si prendevano per mano in strada, i discorsi dei due leader dei Fronti popolari, mentre in Lettonia il Comitato centrale del PCUS aveva vietato la diretta radio. Lo scopo di tale divieto, secondo Īvāns era quello di sabotare la manifestazione. Non c’era bisogno di vietare la trasmissione radio in Lituania ed Estonia, bastava che il divieto fosse imposto in Lettonia, e la catena si sarebbe spezzata. Per fare in modo che la voce del leader del movimento di liberazione lettone risuonasse nelle radio del paese, Īvāns registrò alcune ore prima il suo discorso. Grazie al coraggio e alla dedizione dei giornalisti della radio lettone il discorso di Īvāns venne trasmesso, nonostante il divieto imposto dal potere centrale sovietico.

Il problema per i movimenti di liberazione quel giorno non era solo quello di organizzare la buona riuscita della protesta all’interno dei tre paesi baltici, ma anche la pubblicizzazione e la diffusione delle immagini nei media internazionali. Era questo l’obiettivo della protesta: far sentire a tutto il mondo la voce dei popoli baltici che reclamavano il loro diritto alla libertà e all’indipendenza.

Aivars Liepiņš lavorava come fotografo giornalista a quel tempo e fu l’unico fotografo lettone ad avere la possibilità di fotografare la Via Baltica dall’alto. C’era un elicottero che nei piani doveva servire a portare i leader dei fronti nazionali ai confini degli stati, dove incontrarsi. Ma poi fu deciso di farli spostare in automobile, per evitare rischi con il KGB. L’elicottero dunque in quelle ore rimase inoperoso e fu possibile utilizzarlo per le riprese aeree della catena umana.


“Mi trovavo nel Palazzo della stampa, ero rimasto l’ultimo. Stavo pensando dove recarmi per fotografare la manifestazione, quando d’un tratto mi chiamano al telefono – ricorda Liepiņš. L’elicottero si sarebbe alzato in volo entro 15 minuti dall’aeroporto di Spilve. Corsi subito, arrivai all’aeroporto quando le ali dell’elicottero avevano già preso a ruotare… Il pilota dell’elicottero era molto bravo. Mi chiese: dove andiamo? Scegliemmo per motivi pratici di sorvolare l’autostrada che porta a Pskov, perché in quella zona non ci sono foreste che coprono la visuale della strada. A me sarebbe piaciuto andare verso Ķekava, dove c’erano anche i miei familiari per strada, ma non si prestava ad immagini dall’alto. Durante il volo, sopra il Vidzeme, si vedevano Sigulda, Cēsis, Straupe. Per le strade non si scorgeva anima viva, nessuno. Sembrava che fossero città fantasma, ma in realtà tutta la gente in quel momento era altrove, lungo il percorso della Via Baltica.”

La stampa internazionale diffuse ampiamente la cronaca e le immagini della protesta dei popoli baltici. Negli USA ne parlarono “Washington Post”, “The New York Times”, “Los Angeles Times”, mentre più ampie cronache della manifestazione furono pubblicate in giornali locali o minori, in zone dove più significativa era la presenza di comunità baltiche.

In Gran Bretagna uno dei maggiori quotidiani, il Guardian, pubblicò una corrispondenza del suo inviato nei baltici, Jonathan Steele, da Vilnius.

“Il Guardian aveva un ufficio di corrispondenza a Mosca – rivela Steele – a quel tempo c’era una sola persona, ma poi con lo svilupparsi degli eventi si arrivò fino a 3 corrispondenti nel 1994. Non ricordo bene come venni a sapere della manifestazione di protesta. I baltici avevano una folta rappresentanza nel Soviet supremo a Mosca, e i deputati baltici si adoperarono molto per pubblicizzare l’azione di protesta. Per non suscitare la reazione del potere centrale, all’inizio parlarono non tanto di richieste di indipendenza, ma di “sovranità economica”. Trovai straordinaria l’idea di una catena umana, era perfetta per essere trasmessa in televisione e da mostrare nelle foto. Molto meglio di una raccolta di firme, che produce solo una grande mole di fogli, che nessuno vede. Ma formare una grande catena umana fisica attraverso tutti e tre i paesi baltici fu una grande prova di visibilità.”


Lettonia, Estonia e Lituania avrebbero ottenuto l’indipendenza due anni dopo, nell’agosto del 1991, e dovettero passare attraverso altri momenti drammatici, come la repressione violenta delle proteste del gennaio 1991. Ma la Via Baltica dette uno straordinario impulso al movimento per l’indipendenza dei baltici ed ebbe effetti anche a livello normativo e nell’accellerazione dei processi di liberazione dei paesi dell’Europa orientale. Meno di due mesi dopo la Via Baltica, cadde il muro di Berlino.

La Via Baltica e la denuncia del protocollo segreto fra Germania nazista e Urss stalinista, spinsero il Cremlino a riconoscere i crimini passati nei paesi baltici. L’Urss riconobbe l’esistenza del protocollo segreto e ne dichiarò da quel momento l’invalidità. Fu un passo fra i più importanti nel percorso di indipendenza dei paesi baltici.
La Via Baltica offrì una grande cassa di risonanza internazionale alle richieste di estoni, lettoni e lituani, dimostrando anche l’unità di intenti dei tre paesi, che dette sicuramente maggiore forza alle successive battaglie per l’indipendenza dei popoli baltici.

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