Una bomba a orologeria, lanciata direttamente sul bagnasciuga dei quasi 11 mila stabilimenti balneari italiani. Ha i contorni del (clamoroso) caso nazionale, la pronuncia del tribunale del Riesame di Genova sul caso Liggia arrivata a sorpresa e formalizzata ai titolari dei noti bagni di Sturla nei giorni scorsi.
Concessioni balneari, stabilimento genovese sequestrato applicando direttiva Bolkestein: “Occupazione abusiva del demanio”
Mercoledì 17 luglio i sigilli ai bagni Liggia, storico stabilimento di Sturla. La misura, chiesta dal pubblico ministero Walter Cotugno, era stata negata per due volte prima dell’ok della Cassazione. Le motivazioni: “Le proroghe stabilite per legge non si applicano alle concessioni precedenti alla legge 88 del 2001” che ha abolito il meccanismo del rinnovo automatico
È a Genova il primo stabilimento italiano vittima della direttiva Bolkestein. Mercoledì 17 luglio la Capitaneria di porto ha sequestrato gli storici bagni Liggia nel quartiere di Sturla, su ordine del tribunale del Riesame che ha dichiarato inesistente la concessione demaniale in capo al proprietario. E ciò in base alla discussa direttiva europea che impone la messa a bando di tutte le concessioni pubbliche nel territorio dell’Unione, tra cui, appunto, quelle dei litorali.
Nell’inerzia dei governi, che dal 2009 prorogano per legge la validità dei permessi (l’ultima estensione fino al 2034 è arrivata con la manovra del dicembre scorso), a far applicare la Bolkestein ci ha pensato la Cassazione con una pronuncia che è un potenziale terremoto per quasi 11mila bagni italiani: le leggi che prorogano le concessioni marittime non si applicano ai rapporti nati prima del 2001, quando ancora vigeva la regola del rinnovo automatico, ha detto la suprema Corte. E i giudici genovesi hanno dovuto prenderne atto. A farne le spese per primo è stato questa piccola struttura, il cui proprietario – il 70enne ingegnere Claudio Galli – è indagato per occupazione abusiva di spazio demaniale. Un reato “consumato ininterrottamente da circa dieci anni”, si legge nell’ordinanza di sequestro: cioè dalla data di scadenza dell’ultima concessione, proroghe escluse. Ma i dubbi restano: tanto che gli stessi giudici “costretti” dalla Cassazione a disporre il sequestro lo avevano negato solo pochi mesi prima.
Perché, tra i tanti, è toccato proprio ai bagni Liggia? La risposta sta in un vecchio muro di confine che Galli nel 2018 decide di abbattere in quanto pericolante. Ne nasce una lite con i proprietari dello stabilimento vicino e il fascicolo finisce sul tavolo del sostituto procuratore Walter Cotugno, che già tra il 2005 e il 2006 aveva condotto un’ampia indagine sulle concessioni demaniali. Sensibile al tema, il magistrato coglie la palla al balzo e chiede al Gip il sequestro dello stabilimento per occupazione abusiva. La concessione – è la tesi del pm – non è valida perché prorogata in violazione del diritto europeo e in particolare dell’articolo 12 della direttiva Bolkestein, secondo cui la legge nazionale “non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente”. Un’impostazione che, quindi, considera illegali tutte le oltre 50mila concessioni esistenti in Italia. Il giudice accoglie il ragionamento ma nega il sequestro, spiegando che Galli può essere scusato nell’errore sul diritto data “l’estrema complessità della disciplina in materia”. E così fa anche il Riesame, interpellato per la prima volta da Cotugno a novembre 2018.
La Cassazione, però – a cui il pm ricorre dopo la seconda bocciatura – rovescia i termini della questione e dice che le leggi di proroga sono sì valide, ma si applicano soltanto alle concessioni “nuove”, quelle successive alla legge 88 del 2001 che abolisce il meccanismo del rinnovo automatico. Non a quella di Galli, quindi, che con la propria società occupa l’arenile dal 1991. Il 12 luglio, quindi, arriva la nuova pronuncia del Riesame che diventa titolo esecutivo per il sequestro. “Ricorrerò certamente in Cassazione, ma intanto devo chiudere i bagni e rimborsare i clienti – si sfoga Galli a ilfattoquotidiano.it -. Anche se mi accogliessero il ricorso ormai la stagione è rovinata. Peraltro, se l’obiettivo del pm era restituire la spiaggia al pubblico uso, ha ottenuto l’esatto contrario: ora è recintata con 58 metri di rete di plastica arancione, quella che si usa per i cantieri, e non ci può entrare nessuno. In teoria dovrei anche licenziare i miei 8 dipendenti – dice – ma non intendo farlo: i problemi con la normativa demaniale e con la lettura che ne fanno i Tribunali, riguardano gli imprenditori, non i loro dipendenti”.
L’altro aspetto della vicenda riguarda la condotta delle autorità amministrative genovesi, che finora avevano considerato il titolo di Galli del tutto legittimo tanto da chiedere regolarmente al concessionario il canone demaniale e l’imposta di registro. Per questo i giudici del Riesame concludono l’ordinanza ritrasmettendo gli atti alla Procura perché valuti le ipotesi di abuso d’ufficio, omissione d’atti d’ufficio e omessa denuncia da parte dei funzionari di Capitaneria, Comune e Agenzia del Demanio. “Il sequestro dei bagni Liggia a Genova in piena stagione estiva è uno schiaffo a tutti gli imprenditori balneari – scrive su Facebook il governatore della Liguria Giovanni Toti -. Il problema della concessione avrebbe potuto essere gestito in modo diverso, senza mettere a rischio posti di lavoro. Abbiamo chiesto un incontro al ministro Centinaio affinché intervenga al più presto per fare chiarezza sulle concessioni. Va garantita l’applicazione di quanto previsto nella legge di bilancio 2018 che ha sostanzialmente esteso le concessioni per i prossimi 15 anni”, conclude.
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