08 luglio 2007

Qualcuno di Solo

Ignazio

C’era una volta qualcuno di Solo.
Solo, paese a nord di Qualcuno.
Nel paese di Solo c’era una sola cosa di tutto.
C’era solo una chiesa con un solo campanile con dentro una sola campana. C’era un solo prato, con dentro un solo fiore ed un solo albero. C’era una sola donna, che portava a pascolare una sola mucca, che faceva solo un litro di latte al giorno.
In questo paese abitava anche Ignazio, solo, nella sua casetta, proprio accanto alla chiesa. Ignazio abitava in quel paese da quando era nato. La sfortuna aveva voluto che avesse casa proprio accanto alla chiesa, perché in chiesa Ignazio non ci andava mai. Ignazio infatti era comunista, ed era il solo comunista del paese. Lo era stato il suo bisnonno, suo nonno, così lo erano anche Ignazio e suo padre. Ogni volta che le campane battevano un rintocco lui ci si arrabbiava: “la religione è l’oppio dei popoli”, borbottava.
Ignazio era sempre vissuto da solo in quel paesino.
Il tempo era passato in fretta e lui era diventato un giovanotto un po’ avanti con gli anni. La solitudine si faceva sentire, soprattutto d’inverno, nelle serate fredde da stare davanti al camino, con un buon bicchiere di vino; soprattutto a primavera, nelle serate appena tiepide che veniva voglia di fare una passeggiata, soprattutto d’estate, nelle serata calde da passare a guardare le stelle. Insomma la solitudine si faceva soprattutto sentire.
Vedere no. La solitudine è invisibile.
Nel paese infatti c’era una sola donna ed era già sposata.
Pensa che ti ripensa, Ignazio decise che il momento di fare qualcosa era arrivato, e questo qualcosa era andare nel vicino paese , il paese di Qualcuno, dove di sicuro circolavano più persone e di certo una ragazza di buona famiglia si poteva trovare.
Così una notte, andò alla casa del maniscalco, che era il proprietario dell’unico calesse che c’era in paese, attaccò le briglie al cavallo cercando di non fare rumore, e partì.
Prima di partire però lasciò un biglietto al maniscalco: “Caro compagno, poiché la proprietà privata è un furto, e poiché io ne ho bisogno e tu ne hai la disponibilità, io prendo in prestito il tuo calesse, te lo restituirò quanto prima così che altri compagni possano usufruirne.”
Ignazio arrivò così nel paese di Qualcuno.
Andò un po’ in giro, si guardò intorno. Di donne in effetti ne vide parecchie, solo che non sapeva come fare ad avvicinarle.
Pensa che ti ripensa, Ignazio decise che sarebbe andato a chiedere aiuto al parroco del paese, in forma del tutto laica s’intende. La chiesa gli sembrava un posto favorevole agli incontri.
Detto fatto, Ignazio col berretto tra le mani, un po’ dubbioso sul comportamento da tenere, fece il suo ingresso in chiesa.
“Certo che posto questo qui, ci fa pure un po’ freddo. L’odore mi sembra buono però, e le candele fanno una bella luce”.
Trovò il parroco, in sacrestia, tutto assorto nella lettura di un piccolo libro.
“Buonasera compagno … ehm… padre, buonasera padre, come sta?”
Il parroco alzò gli occhi un po’ seccato e lo guardò con aria interrogativa, senza parlare.
“Salve padre, mi chiamo Ignazio, vengo dal paese vicino, sa il paese di Solo. Io mi chiedevo, padre, se, magari, potrebbe darmi una mano. Io sarei venuto qui a cercare moglie. Al mio paese donne non ce ne sono. Io pensavo che qui, magari potevo avere più fortuna. Ho pensato di venire qui, perché pensavo che …voi non li rendete questi servizi ai vostri fedeli? La sezione del nostro partito sì”
Il parroco restò un po’ in silenzio, pensieroso, poi disse: “Senta, facciamo così, qui in paese qualche donna perbene in età da marito c’è, se lei resta qualche giorno e magari mi dà una sistematina alla chiesa, un’aggiustatina al tetto che quando piove perde, una spolveratina alle cose che stanno più in alto, che la perpetua mi si è fatta anziana e non spolvera più come una volta, vedrò cosa posso fare.”
“Perfetto padre, ci sto!” disse Ignazio tutto contento, che poi lui a fare questi lavoretti era un maestro. “Una sola cortesia mi dovrebbe fare. Potrebbe mandare qualcuno a riportare il calesse al maniscalco del mio paese? Sa, l’ho preso in prestito e semmai lui ne avesse bisogno, o qualche altro compagno…”
“Va bene Ignazio, vedo che sei un bravo figliolo, anche se comunista, ci penso io a restituire il calesse”.
Al mattino dopo Ignazio era arrampicato su una scaletta sbilenca e spolverava il grande crocifisso di legno.
“Certo poverino questo qui, sta messo proprio male. Inchiodato ad una croce, con una corona di spine sulla testa, che avrà fatto mai per meritarsi una tortura così? E poi dico, se meritò una tortura vuol dire che era una cattiva persona e allora che fanno, lo mettono in chiesa? Però ha una faccia da brava persona… dovrò farmi spiegare un po’ questa faccenda da padre Guglielmo”.
Padre Guglielmo per tutta risposta alle domande di Ignazio gli mise tra le mani un Vangelo. “Domani aggiustami il tetto, che io nel frattempo credo di avere trovato una brava ragazza per te”.
Ignazio passò la notte con quel libro tra le mani.
“Certo che situazione, una così brava persona, e quel gaglioffo che lo bacia per tradirlo, e poi … ma alla fine che aveva fatto di male? Dava pure da mangiare alla gente il pane il pesce, vuoi vedere che scoppiò il putiferio perché era comunista anche lui?”
Tutto preso da questi pensieri, Ignazio incontrò la ragazza che padre Guglielmo gli aveva presentato. Carina era carina, ma gli sembrò una ragazza un po’ troppo frivola, vanitosa, badava soltanto a farsi fare dei complimenti. Ignazio stava ancora a pensare a quell’uomo sulla croce.
“Che poi vabbè, lo vogliamo pure mettere in croce perché era troppo buono, non si sapeva difendere, ma c’era bisogno di fargliela portare sulle spalle? E dico io, quella faccenda dell’aceto? Un poverino muore, ha sete, ma dico, si trattano così le persone? M
Mettete i centurioni sulla croce! Che poi padre Guglielmo mi deve spiegare che cosa sono ‘sti centurioni perché non ho ben capito.”
Assorto in questi pensieri, rientrando in chiesa Ignazio sente come una voce silenziosa.
Non proprio una voce, diciamo come qualcuno che parla pur restando in silenzio.
Una cosa un po’ curiosa.
“Padre, padre ha sentito anche lei?”
“Cosa dovrei sentire Ignazio, che Genoveffa non ti è piaciuta. Certo che se eri schizzinoso me lo dovevi dire figliolo”.
“No padre, non di Genoveffa parlavo, comunque sì, non mi è piaciuta molto. Senta padre, ma che vuol dire INRI, scritto sulla croce?”
“Iesus Nazarenus Rex Iudeorum”
“E che cos’è, russo?”
“Ma che russo e russo, latino è, ignorante!”
“Si vabbè, non si arrabbi, sempre di una lingua straniera si tratta!”
Quella notte Ignazio restò a leggere su una panca della chiesa.
Ogni tanto sentiva quel sussurro, come di una voce che parli in silenzio. L’aveva capito che era quell’uomo sulla croce e aveva capito anche che voleva fargli compagnia.
Più la ascoltava quella voce silenziosa e più pensava, Ignazio, che di una moglie petulante forse non aveva poi tanto bisogno. Che ora che aveva trovato un amico se lo voleva tenere però.
Così decise di portarselo a casa. Si arrampicò sulla scaletta, staccò il crocifisso dal muro, se lo caricò in spalla.
Fu un’impresa faticosa, a piedi, in salita, con quell’uomo e la sua croce sulle spalle, un calvario di fatica.
Ma arrivato a casa, lo sistemò nella sua stanza, si asciugò il sudore dalla fronte e si disse che ormai avrebbe avuto una buona compagnia nelle notti fredde d’inverno, ed in quelle calde d’estate.
Al parroco Guglielmo aveva lasciato un biglietto: “Caro compagno parroco, siccome la proprietà privata è un furto…”

(dal blog di bartleby)

Nessun commento: