Chi è quel razzistone che ha detto che i migranti devono adeguarsi ai nostri valori? Salvini, Borghezio, Calderoli, la Meloni, la Santanchè o la Mussolini? No, la Corte di Cassazione.
La sentenza ha riguardato il kirpan, un coltello di circa 18 centimetri che gli indiani pensavano di poter portare tranquillamente perché da loro è tradizione ma speriamo che a suon di sentenze si riesca a far capire come si vive in Italia a questi signori.
Cassazione: i migranti devono conformarsi a nostri valori. Il caso del pugnale sacro indiano
È obbligo essenziale se vogliono vivere in mondo occidentale. I giudici: «La società multietnica è una necessità, ma la sicurezza pubblica è un bene da tutelare»
ROMA - Con una sentenza che già divide gli entusiasti dai perplessi, i giudici della Cassazione stabiliscono dei parametri all’integrazione: la rinuncia da parte degli immigrati ai propri simboli religiosi o culturali se in contrasto con la tutela della sicurezza. Respingendo l’istanza di un indiano sikh di Mantova a girare con il kirpan (coltello di circa 18 centimetri) infilato nella cintura, i togati sottolineano: «Intollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel Paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante». E ancora: «La società multietnica è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali confliggenti a seconda delle etnie che la compongono». Specie, dicono, se quegli «arcipelaghi» sono in contrasto con il bene collettivo della sicurezza pubblica. Il sikh mantovano dovrà dunque scendere a patti con le proprie abitudini nel rispetto della nostra normativa che «individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e a tal fine pone il divieto del porto d’armi e di oggetti atti a offendere».
La condanna della Cassazione
E qui la Cassazione porta anche argomenti della giurisprudenza europea: «Nello stesso senso», scrive, «si muove anche l’articolo 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che stabilisce che “la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica, per la protezione dell’ordine pubblico, della salute o della morale pubblica o per la protezione dei diritti e della libertà altrui"».
«Conformi i valori al mondo occidentale»
Non sarebbe la prima volta, affermano i togati, che lo Stato limita la libertà di manifestare una religione «se l’uso di quella libertà ostacola l’obiettivo perseguito di tutela dei diritti e delle libertà altrui, l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica». Applaude Luca Zaia (Lega). Per Mara Carfagna (FI): «Chi sceglie l’Italia deve integrarsi, rispettando non solo le nostre leggi, ma anche i nostri valori, la nostra cultura e le nostre tradizioni». Mentre per Emanuele Fiano (Pd): «È una sentenza da non usare come una clava». «La sentenza è molto equilibrata», sottolinea Giancarlo Perego direttore di Migrantes, fondazione della Cei, «e sottolinea anche il valore di diversità e multiculturalità e la necessità di un cammino di integrazione degli immigrati. Ora, però, la politica non strumentalizzi».
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