03 marzo 2018

Gucci horror show

D'accordo che per far parlare di se, in un mondo non se ne vedono già di tutti i colori, bisogna cercare di essere originali e dirompenti, ma teste mozzate portate sottobraccio come fossero borsette e una sala operatoria per passerella, forse è un po' troppo.


Teste mozzate e draghi: Gucci horror show

Teste mozzate portate sottobraccio come fossero borsette. Una sala operatoria per passerella. E poi draghi e creature misteriose tenute in grembo quasi fossero accessori cult. Camaleonti, serpenti, e maschere cyborg a fare da cornice. C'è questo e molto altro nella sfilata di Gucci, che ieri ha mandato in scena la collezione autunno inverno 2018-2019 in un set che poco ha a che fare con la moda, ma che spalanca le porte sul mondo irreale e mutevole di Alessandro Michele, da tre anni deus ex machina della griffe fiorentina.

Si parte dalla scenografia. Fredda, asettica, suggestiva. E' una sala operatoria con tanto di sedie della sala d'aspetto di un ospedale, pareti verdi in pvc, lampade led e uscite anti incendio. Un ambiente sterile, dove i modelli marciano al ritmo di musica sacra. Qualcuno tiene in mano il clone della propria testa (realizzata da Makinarium, il laboratorio romano che ha collaborato con Matteo Garrone per 'Il racconto dei racconti'). Altri salgono in pedana coccolando cuccioli di drago e accarezzando rettili.

"Ho perso la testa per Gucci" ironizza qualcuno in rete. E la sensazione è propria questa. Non servono gli effetti speciali. La sala operatoria riflette il lavoro dello stilista, che attraverso l'atto di tagliare, riassemblare e ricostruire tessuti e materiali crea nuove identità e plasma nuove personalità.

Anche l'invito alla sfilata, un timer chiuso in un sacchetto di plastica, sembra emblematico per descrivere il racconto di una collezione che non conosce limiti e confini, e mixa e trasforma e dipinge scenari mutevoli. Senza temere di dare libero sfogo alla propria creatività, Michele prende ispirazione da Manifesto Cyborg, un volume scritto da D.J. Haraway nel 1984.

In passerella il Gucci by Michele è un caleidoscopio di personalità: felpe con la scritta 'Paramount' si alternano a turbanti sikh e passamontagna, le frange rubano la scena a volant, stampe teatrali si accompagnano a uniformi, corna da fauno e omaggi a pellicole cult come 'Faster, Pussycat, Kill! Kill!' pellicola del 1965 diretta da Russ Meyer, considerata film feticcio di registi quali John Waters e Quentin Tarantino. Lasciare in soffitta i codici della maison della doppia G non è da Michele. Ecco spuntare la stampa Flora, il mocassino col morsetto, il foulard annodato in testa con gli occhiali da gatta.

l cabinet de curiosité firmato Gucci muta forma di stagione in stagione, senza perdere però un briciolo della propria grammatica di stile. Come il racconto andato in scena ieri, che è solo l'ultimo tassello del Michele pensiero, dove lo stilista-alchimista mescola, ibrida e riscrive la propria estetica continuando a conquistare clienti di tutto il mondo.

Non è un caso, del resto, che nel 2017 il brand che fa capo al colosso francese Kéring abbia registrato numeri da record, con un boom di vendite che è valsa alla griffe (guidata da Marco Bizzarri) un fatturato di oltre 6 miliardi di euro.









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