Questa mattina a Radio24 hanno fatto meglio i conti e i miliardi di soldi pubblici bruciati in Alitalia sono diventati 12, molti di più di quei 7,4 di cui tutti parlano.
7,4 miliardi sono quelli che Mediobanca ha classificato come perdite di Alitalia pubblica fino al 2007, diciamo che ce sono altri 7 quasi, tra i 3 miliardi del fallimento e gli aiuti dati con una cassa integrazione generosissima, costata 1,4 miliardi, di 7 anni ad 8mila esuberi del 2008 e gli oneri che hanno pagato tutti i passeggeri con la maggiorazione del biglietto e i mancati introiti iva. Non sono solo 7, come dicevano tutti in questi giorni, ma siamo oltre i 12.
Ieri ho letto un articolo molto duro sulla situazione della compagnia aerea e sui sindacati che pubblico di seguito.
I privilegi e il massacro
"I lavoratori di Alitalia che hanno votato no e i sindacati che hanno indetto il referendum-scommessa sul destino della compagnia hanno deciso di suicidarsi. A questo punto, così sia"
Milano, 25 aprile 2017 - I lavoratori di Alitalia che hanno votato no e i sindacati che hanno indetto il referendum-scommessa sul destino della compagnia hanno deciso di suicidarsi. A questo punto, così sia. Si proceda al commissariamento e alla liquidazione dell’azienda. Senza che lo Stato (e, dunque, tutti noi) ci metta un solo euro per il salvataggio estremo di un’impresa che, per decisione dei suoi stessi dipendenti, non merita di essere salvata. Per chi conosce un po’ della storia della compagnia, una volta di bandiera, non poteva finire diversamente.
Salvata da se stessa in decine di occasioni, Alitalia è stata e rimane l’azienda dei privilegi corporativi di tutti i suoi lavoratori: stipendi d’oro e regole senza pari come per nessun altro competitor, vantaggi e benefit a go go, ammortizzatori infiniti con indennità all’80 per cento dello stipendio effettivo. Niente di paragonabile si è visto mai per nessun altro gruppo italiano e per nessuna altra categoria di lavoratori.
Eppure, nonostante tutto questo ben di Dio di tutela sindacale e di welfare pubblico, è stato talmente forte il riflesso corporativo del privilegio storico che anche di fronte al baratro del possibile fallimento i lavoratori in massa hanno votato no. Con la presunzione di chi pensa che alla fine, come nelle occasioni precedenti, tutto finirà a posto. Ma questa volta non può finire a posto, come se niente fosse accaduto. E gli stessi vertici di Cgil, Cisl eUil dovrebbero trarne più di una conseguenza. In altri referendum, come quello di Pomigliano e Mirafiori, lavoratori sicuramente meno garantiti e autoreferenziali hanno fatto ben altre scelte.
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