06 settembre 2017

Le meraviglie di Macerata

Secondo il noto sito di recensioni Tripadvisor, al terzo posto delle cose da vedere a Macerata c'è il palazzo Buonaccorsi, preceduto dal Museo della Carrozza (che comunque è all'interno del palazzo) e dallo Sferisterio. Devo dire che, nel mezzo del cammin della mia vita, un paio di anni fa, incuriosito da un articolo di giornale, una domenica pomeriggio sono partito da solo e sono andato a visitarlo.

Avevo già visitato, da bambino credo, il Museo della Carrozza, anche se in una diversa location, e pur apprezzandone i reperti, non mi ha suscitato particolari emozioni. Per quanto riguarda la pinacoteca, ho visto dei quadri veramente molto belli ma forse i miei occhi da profano, non mi hanno fatto comprendere a pieno l'importanza di certe opere, di cui magari ho apprezzo il tratto e la scena ma non ne ho compreso il significato di quello che c'era dietro e di cosa il pittore volesse raccontare con la sua opera, che magari a volte è la cosa più importante.

Quando infine sono arrivato alla Galleria dell'Eneide, devo dire che quasi non credevo ai miei occhi e sono rimasto a bocca aperta da tale e tanta bellezza. Mi sono emozionato nel vedere quel salone meraviglioso ed ho pensato che buona parte degli abitanti di Macerata probabilmente ne ignora l'esistenza. La mia supposizione viene confermata dall'ultimo commento inserito su Tripadvisor, dove una residente in città scrive: "Da Maceratese mi vergogno di dire che sono stata per la prima volta all'interno di palazzo Buonaccorsi solo pochi giorni fa! Sono rimasta colpita dalla bellezza di questo posto" e scorrendo si possono leggere recensioni da parte di americani, inglesi, portoghesi, belgi e addirittura australiani.

Il Palazzo Buonaccorsi e la Galleria dell'Eneide in particolare, fanno parte indubbiamente dei gioielli di Macerata ed è un vero peccato che non siano conosciuti e credo, pubblicizzati abbastanza.


Sede e descrizione del Museo 

Nel cuore della città sorge il settecentesco Palazzo voluto dalla famiglia Buonaccorsi, sede dei Musei Civici di Macerata dal 2009. Esso ha avuto una lunga e complessa storia edilizia avviata in seguito al conseguimento del patriziato cittadino nel 1652 e all'investitura a conte di Simone Buonaccorsi nel 1701 da parte di papa Clemente XI. L’edificio è noto per la presenza al piano nobile di una  galleria di dipinti creati da artisti di diversa cultura figurativa provenienti da varie parti d’Italia, da Bologna a Napoli da Roma a Venezia. Tale patrimonio  ha costituito e costituisce tutt’ora uno dei complessi più significativi  dell’età tardobarocca in Italia, che per secoli è stato visitato, ammirato e studiato.
Sorge su un’area che, nell’alto medioevo maceratese era costituita dal limite esterno del cosiddetto “Podium Sancti Juliani”, il quale  unitosi nel 1138 al Castrum,  posizionato nella parte più alta del colle, segnò la nascita del Libero Comune di Macerata. Il comprensorio incluso sin dal Trecento nella cerchia fortificata cittadina fu  abitato da varie famiglie, per lo più nobili. Il nucleo principale era costituito dalle case della famiglia Giardini che in quegli anni si andava affermando non solo in sede locale ma anche nel resto d’Italia. Nei primi anni del XVII secolo i Giardini vendettero le loro case ai Centini, giunti a Macerata da Ascoli Piceno al seguito del loro zio il Cardinale Felice, vescovo della città dal 1613 al 1641, amico di Galileo Galilei e suo inquisitore. Infatti, in qualità di Decano della Commissione inquirente nominata dal papa contro lo scienziato, dovette suo malgrado sottoscriverne la condanna. Il nipote del Cardinale, Giacinto Centini, proprio a Macerata pare abbia meditato a lungo sulla congiura contro Papa Urbano VIII, che avrebbe portato suo zio al soglio pontificio. Scoperta la congiura, Giacinto fu decapitato in Campo de’ Fiori nel 1635 e con la morte del Cardinale Felice avvenuta a pochi anni di distanza, le fortune dei Centini declinarono lentamente finché nel 1701 l’ultimo discendente del ramo maceratese dovette vendere il suo palazzetto a Simone (1624-1708) e a suo figlio Raimondo (1669-1743) Buonaccorsi. Questa stirpe discendeva da un’antica famiglia nota fin dal XII secolo nell’attuale territorio di Potenza Picena, allora conosciuto come Monte Santo. Lì la famiglia consolidò le proprie finanze raccogliendo anche la ricca eredità degli Augeni (Paci, 1981, s.p.).
La costruzione del palazzo è il risultato di complesse vicende edilizie che  vedono, a partire dal 1697,  l'aggregazione di edifici preesistenti su progetto dell'architetto romano Giovan Battista Contini allievo del Bernini. Nel 1718 l'intervento di Ludovico Gregorini completa il palazzo con la  realizzazione del cortile interno e del  giardino all'italiana di cui rimangono la balaustra con i vasi ornamentali di Antonio Perucci e le tre statue raffiguranti Ercole vincitore in pietra d'Istria, opera dello scultore padovano Giovanni Bonazza. 
All'interno, l'ampio atrio pavimentato in legno di quercia, la loggia e i saloni decorati, i soffitti a cassettoni e le pitture di soggetto mitologico dell'appartamento nobile offrono alla vista dei visitatori preziosi momenti barocchi e rococò, il cui fasto raggiunge l'apice nel Salone dell'Eneide. Decorato nella volta a botte con le Nozze di Bacco ed Arianna da Michelangelo Ricciolini e ornato alle pareti con un ciclo di dipinti su tela commissionati ai maggiori artisti del tempo, celebra le gesta dell'eroe virgiliano in funzione encomiastica. 
Il nobile palazzo dei Buonaccorsi, prima utilizzato sia dalla famiglia che da una serie di affittuari, vide l’inizio della sua decadenza e finì per essere acquistato nel 1967 dal Comune che  aveva utilizzato il piano nobile già dal 1962 per una serie di eventi e destinava quindi ad uso pubblico una delle più grandi dimore signorili della città. Dal 1972 al 1997 il palazzo è stato sede dell’Accademia di Belle Arti, stanziatasi qui fino a quando il rovinoso sisma l’ha costretta a trasferirsi in altra sede, poi è stato chiuso in attesa dei restauri iniziati nel 2002. 
Oggetto di un integrale intervento di consolidamento e di rifunzionalizzazione finanziato dalla Regione Marche e dallo stesso Comune, il palazzo è diventato uno degli edifici storici più belli delle Marche. Il restauro ha interessato non solo le strutture ma anche tutti gli apparati decorativi: i  pregevolissimi infissi lignei, i soffitti cassettonati, l’insieme delle statue che ornano la corte principale e la panoramica terrazza  hanno potuto risplendere in tutta la loro bellezza. Anche le grandi tele della Galleria dell'Eneide e i fregi decorativi affrescati alle pareti del piano nobile hanno beneficiato di un restyling restituendoli così al loro antico splendore.

Le collezioni museali sono composte dal museo della carrozza allestito dal 2009 nel piano seminterrato e dalle raccolte di arte antica e di arte moderna ancora in fase di allestimento e destinate rispettivamente al piano nobile e al secondo piano di Palazzo Buonaccorsi.

Museo della  Carrozza  (piano seminterrato)
Apprezzato da cultori ed appassionati per la sua peculiare capacità di documentare l’utilizzo sportivo della carrozza ai primi del Novecento, come pure per la presenza di pregevoli vetture di epoca anteriore appartenute a nobili famiglie del maceratese, il Museo della Carrozza è  frutto di una complessiva opera di catalogazione e di riordinamento della collezione.
II Museo della Carrozza è istituito dal Comune di Macerata nel 1962  in seguito alla cospicua donazione, sostenuta dal Lions Club locale, fatta dal conte Pier Alberto Conti di Civitanova Marche (1884-1968).  Il nucleo originario è costituito da sei modelli sportivi: Spider Phaeton, Mail Phaeton, Jardinière, Gran Break de Chasse, Stanhope-Gig, Break e dall'utilitaria Skeleton Break. É inclusa nella donazione una ricca serie di selle, morsi, frustini, briglie, ferri da cavallo, finimenti per attacchi a pariglia, a quattro o a sei nonché libri, manuali di ippica, stampe e fotografie d'epoca.
Negli anni a seguire si aggiungono al primo nucleo altre carrozze, sportive o di servizio, donate nel 1968 dai Ceccaroni Morotti Cambi Voglia, da Giuseppe Guarnieri-Roberti, da Giorgio Sinistrario, dalla famiglia Ciofi degli Atti  e dal maceratese Luigi Pianesi.
Il museo conserva anche una portantina a mano del Settecento adibita al trasporto di dame donata da Filippo Catellani ed una carrozza ottocentesca, modello Wourche, donata nel 1981 dalla famiglia Pietramellara.
Si sono aggiunti alla collezione anche due carrozzini da bambino risalenti agli anni Venti del Novecento (donazione Michele Volpe 1992; donazione Elia Ercoli Valentini 1993) e recentemente (2007) un calesse  appartenuto alla famiglia Grandinetti di Morrovalle.

Arte Antica (allestimento in corso piano nobile) 
La donazione di Tommaso Maria Borgetti, risalente al 1835, costituisce il primo nucleo di quadri della Pinacoteca. Successivamente, nel 1860, il pittore Antonio Bonfigli donò 26 dipinti per la costituzione di una "Pinacoteca patria" che, dal 1937, insieme ad altri quadri preesistenti, ha trovato sistemazione nelle sale del Palazzo della Biblioteca. Fra le opere figurano dipinti di Carlo Crivelli, Giovanbattista Salvi, Carlo Dolci, Michele Rocca detto il Parmigiano, Domenico Corvi, Carlo Maratta, Giacomo da Recanati, Alessandro Turchi l'Orbetto, Federico Barocci e numerosi altri. Dipinti d'arte fiamminga, italiana, napoletana e veneta, insieme a ritratti di illustri maceratesi, completano l'interessante e pregevole raccolta. La loro nuova sistemazione a palazzo Buonaccorsi ancora in fase di allestimento è frutto di un intenso lavoro di studio e di catalogazione del patrimonio finalizzato alla elaborazione di nuovi criteri di ordinamento e di allestimento delle collezioni. Presupposto imprescindibile, la presenza delle figure professionali specifiche che garantiscono all'Istituzione Macerata Cultura, in modo del tutto analogo per quanto già avviene alla Biblioteca Mozzi Borgetti, una conduzione dei musei adeguata agli standard più aggiornati.

Arte Moderna (allestimento in corso secondo piano)
La raccolta d'arte del Novecento è data dalla "sedimentazione storica" di opere provenienti dalla locale attività futurista negli anni Dieci e Venti, dal lavoro del Gruppo "Boccioni" (1932-1944), dai tre premi nazionali di pittura contemporanea "Scipione" (1955; 1957; 1964), dagli eventi promossi dagli Amici dell'Arte, dai rapporti nazionali ed internazionali intrattenuti negli anni Settanta da Elverio Maurizi, da acquisti effettuati dall'Amministrazione comunale oltre che da donazioni di artisti italiani e stranierei in occasione di mostre personali.
Ottocenteschi sono i ritratti del pittore teramano Guido Bonolis (Teramo 1800 - Napoli 1851) e le opere del maceratese Gualtiero Baynes (Macerata 1856 - Firenze 1938) donati dall'artista ad "incremento alla nascente Pinacoteca".  
La produzione scultorea locale è segnata dalla presenza di Fedele Bianchini (Macerata 1791-1857) allievo del Canova e di Giovanni  Battista Tassara (Genova 1841-1916) chiamato nel 1885  a dirigere la locale Scuola d'arte.
A Macerata l'idea di un arte regionale coincide con l'inaugurazione dell'Esposizione  nel 1905 dove vengono premiati tra gli altri lo scultore Giuseppe De Angelis e il  pittore Biagio Biagetti (Porto Recanati 1877-Macerata 1948).
Nella provincia maceratese accanto a inflessioni Liberty permangono tracce di cultura romantica, simbolista e tardoverista  che si traducono in vedute e scene di genere locali ad opera di  Peruzzi (Montelupone 1894 - Recanati 1995), Mainini (Macerata 1898 - 1981), Pellini (Montelupone 1908-1934) e Monti (Pollenza 1908 - Macerata 1981). 
Nel 1925 l'artista ed architetto Ivo Pannaggi progetta l'arredamento per la residenza ad Esanatoglia (Macerata) dei coniugi Erso e Kenia Zampini. I lavori furono ultimati nel 1926, anno in cui la casa venne inaugurata.
Con la nascita nel 1932 del Gruppo Boccioni la scena artistica regionale è scossa da un secondo futurismo. Figure di spicco del gruppo maceratese sono  Sante e Mario Monachesi, Bruno Tano, Rolando Bravi,  Mario Buldorini, a cui negli anni si aggiungono Umberto e Peschi, Wladimiro Tulli, Fulvio Raniero Mariani. Sotto l'influenza di Enrico Prampolini questi giovani artisti sviluppano la loro ricerca soprattutto  nell'ambito dell'Aereopittura. 
Studiate e valorizzate da Anna Caterina Toni negli anni Ottanta, le opere futuriste della Pinacoteca Comunale si integrano a quelle che fanno parte della collezione di Palazzo Ricci consentendo al visitatore una piena valutazione della  presenza e del ruolo di questo  movimento artistico a Macerata.
Negli anni che a Macerata vedono prima la ripresa dell'attività espositiva per merito della Brigata Amici dell'arte e poi la nascita del premio intitolato al maceratese Scipione ( 1954) si delinea sulla scena artistica nazionale il dibattito tra figurazione ed astrazione determinato dalla divisione all'interno del Fronte Nuovo delle Arti. 
Nell'ambito della corrente neorealista gli  artisti diedero vita ad un'arte figurativa dalle forti valenze narrative e indirizzata a tematiche popolari. A questo ambito la nostra collezione fa riferimento con opere di Cassinari, Pincherle, Music, Bartolini, Brindisi, Cantatore, Spazzapan, Ferroni, Scordia (1955), Zigaina, Sassu, Cagli, Murer, Maselli, Trubbiani. Alla corrente neorealista si contrappone una fazione più incline a un linguaggio d'avanguardia, astratto o informale. L'impronta artistica di autori come Scordia, M. Conte, Donzelli, Giuli, D'Angelo, Marchegiani, Lazzari, B. Conte, Uncini, Valentini, Bentivoglio, Bompadre, Spagnoli, Munari, Ricci, Mannucci, Marotta, Craia, Tulli, Licini, Di Cocco, Staccioli, Hsiao Chin, Licata, Bardi, Barisani,  Cagli, Afro, Peschi, Turcato, Vedova, Schifano, Carmi, si collega principalmente all'astrattismo con l'aggiunta di note impressionistiche fino alla poetica informale con l'introduzione nelle loro opere di elementi materici e di modi gestuali.



La pittura del mito

La Galleria dell’Eneide 

Visitata con interesse anche dal marchese de Sade in occasione del suo grand tour italiano, la Galleria dell’Eneide di Palazzo Buonaccorsi è stata voluta tra il 1711 e il 1715 dal nobile maceratese Raimondo Buonaccorsi, per celebrare il potere del proprio casato attraverso la rappresentazione dei fasti dell’eroe virgiliano. Fra marmi e stucchi l’ambiente è interamente decorato dai più noti artisti del momento delle varie scuole italiane: nelle pareti, nelle porte, nei portelloni e fino all’affresco della volta a botte con l’Apoteosi di Enea, realizzato da Marcantonio e Niccolò Ricciolini. Uniformandosi a quanto accadeva a Roma nella decorazione delle dimore patrizie e presentando Enea come mitico iniziatore della stirpe italica, i Buonaccorsi volevano soprattutto mostrare l’origine romana della propria famiglia. Tuttavia è molto probabile che all’intero progetto decorativo fosse anche affidato un prudente significato edificante, che è quello espresso in un dipinto del marchigiano Francesco Mancini raffigurante La Chiesa che annienta gli dei pagani. Tale messaggio era in linea con la tradizione familiare, profondamente permeata di religiosità e di ambizioni a conseguire ruoli di prestigio nelle gerarchie ecclesiastiche. 

Lo splendore del palazzo è dato in particolar modo dalla ricchezza degli apparati decorativi delle stanze al piano nobile che culmina nella grande Galleria dell’Eneide.  Il visitatore dell’epoca era accolto nelle sale tappezzate di damaschi con cornici dorate al fine di dar risalto alle scenografiche pitture a tema mitologico che corrono lungo la parte alta delle pareti.  Le sontuose decorazioni non sfuggono all’attenzione dei critici dell’epoca. Non vi sono fonti precise relative alle circostanze della decorazione né esistono notizie sugli autori chiamati a lavorarci ma furono menzionate da Zanotti (1739), da Oretti (1777) e dallo stesso Amico Ricci (1834). Di certo la Galleria ebbe avere una certa risonanza se uno tra i pittori spagnoli più geniali della seconda metà del Settecento, Francisco de Goya, in viaggio attraverso l’Italia annotava nel suo taccuino anche Macerata tra “las mejores” città visitate (M.B. Mena Marqués, 1994, p. 39a; De Vecchi, 1999, pp. 2-3.). Il risorgere dell’interesse per questo ambiente è datato intorno agli anni sessanta del Novecento ad opera di Miller (1963) e di Haskell (1966, pp. 347-350). Al primo si deve tutta una serie di attribuzioni stilistiche finalizzate a ricostruire le maestranze che vi hanno lavorato. Al secondo invece la lungimiranza nel riconoscere in Raimondo la figura di un collezionista che “spaziava liberamente in tutt’Italia per gli acquisti dei suoi quadri”. L’idea di una continuità monumentale e scenografica tra palazzo e decorazione in linea con lo stile barocco romano è da riferire a Bonaccorso Buonaccorsi che divenuto cardinale nel 1669 affidava al fratello Simone l’avvio dei lavori del Palazzo fino al 1708. Il suo successore Raimondo, tramite emissari, ha intessuto rapporti con i pittori più in voga dell’epoca. Anche il paesaggista marchigiano Francesco Foschi fu consigliere di Raimondo ma al fratello Filippo, abate, spettò il compito di sovraintendere il progetto generale. Egli apparve come una sorta di eminenza grigia: pagò le statue del cortile al Bonazza e i quadri della Galleria. Si trattava del salone di rappresentanza del Palazzo, decorato soltanto nell’ultima fase di ricostruzione della dimora con un ciclo di tele riguardanti il poema virgiliano e di decorare la volta raffigurante le Nozze di Bacco e Arianna e numerosi ornati, fra cui raffinati portelloni per finestre che riproducevano le stagioni, i mesi ed i segni zodiacali, realizzati da Enrico Scipione Cordieri. Ogni anta è stata tripartita con cornici dorate, dove  sono stati raffigurate le stagioni e le attività svolte nel mese di riferimento. 
Il carattere giocoso della decorazione è sottolineato dalla volontà di camuffare, in ogni portellone, i dodici segni zodiacali tra rovine, architetture di fantasia, sculture antiche e moderne, fiori, frutti e ortaggi, intorno a coppie di putti. Nei riquadri superiori sono rappresentati piccoli paesaggi di ispirazione fantastica mentre in quelli inferiori sono dipinti  dei medaglioni alcuni medaglioni in finto bronzo. che presentano Al loro interno, fu raffigurata una serie di ritratti di profilo, circoscritti da iscrizioni in lettere capitali che ne indicavano l’identità, e che ritraevano  personaggi storici vissuti tra l’epoca romana e il Medioevo.
L’esecuzione della volta fu affidata, nel 1710, ai romani  Michelangelo e Nicolò Ricciolini, padre e figlio, che vi lavorarono, a più riprese, fino al 1715. La scelta del soggetto di tale affresco fu probabilmente legata ad una motivazione personale di Raimondo. Nell’anno in cui si iniziò la decorazione, infatti, dal matrimonio del conte con Francesca Bussi, erano già nati nove dei loro diciotto figli; è dunque plausibile che Raimondo volesse celebrare la prolificità del suo matrimonio attraverso l’immagine dell’unione di Bacco e Arianna, allietata da una prole altrettanto numerosa. Tuttavia è anche possibile rintracciare nell’affresco il richiamo al casato dei Buonaccorsi, dal momento che Bacco indossa un vello moscato ricavato dalla pelle della stesse tigre che compare nello stemma della famiglia.  Alcune figure della volta furono verosimilmente riprese da affreschi precedenti eseguiti a Palazzo Spada a Roma e a Palazzo Barberini a Monterotondo tanto da suggerire alla Guerrieri Borsoi (1992 p.134) l’ipotesi che i pittori avessero un repertorio figurativo abbastanza costante per i temi mitologici. 
Dai documenti rinvenuti da Costanza Barbieri e Cecilia Prete (1996 p. 7) si apprende inoltre che Nicolò Ricciolini fu anche autore delle decorazioni della cappellina del piano nobile raffigurante Dio Padre, angioletti e figure allegoriche.
I dipinti del ciclo di Enea furono invece commissionati ad una serie di artisti italiani di provenienza diversa (veneziani, bolognesi, romani e napoletani) che raffigurarono gli episodi principali del poema relativi alla fuga dell’eroe da Troia e al suo arrivo nel Lazio. Il conte si rivolse al veneto Antonio Balestra per narrare l’incontro di Venere cacciatrice con Enea e Acate scampati ad una tempesta sulle  coste della Libia. Sempre ad un pittore di ambito veronese ma di formazione bolognese, Giovanni Giorgi, affidò la scena con la Fuga da Troia di Enea e Anchise. Il bolognese Giangioseffo del Sole eseguì intorno al 1714 l’Incontro di Enea e Ascanio con Andromaca. Al veneziano di formazione giordanesca Niccolò Bambini venne affidato il compito di ritrarre il momento in cui Didone richiese a Enea di raccontare le sue vicende. Dal 1712 al 1714 Raimondo scrisse in continuazione ai suoi emissari e agenti per sollecitare il quadro affidato al napoletano Francesco Solimena (Barbieri, Prete, 1996 pp. 23-25). L’opera raffigurante l’Incontro di Enea e Didone nei pressi della grotta è l’unico dipinto a non essere ancora in loco dal momento che in seguito alla sua alienazione  si trova è stato acquistato dal Fine Arts Museum di Huston. Ai bolognesi Marcantonio Franceschini e Giuseppe Gambarini vennero assegnati rispettivamente i dipinti  Mercurio che sveglia Enea e  Enea che stacca il ramo d’oro. Al veneziano Gregorio Lazzarini furono invece commissionati i due grandi quadri raffiguranti La morte di Didone e La battaglia di Enea e Mesenzio.  Alla sapiente mano del napoletano Paolo de Matteis  e del romano Luigi Garzi furono affidati Venere che offre le armi a Enea e Venere nella fucina di Vulcano. I due piccoli sovrapporta con impressi l’uno il Dio Tevere compiuto da Giacomo del Po e  l’altro La Chiesa annienta gli dei pagani eseguito da Francesco Mancini hanno costituito la chiave di volta per comprendere il tema di tutta la tematica decorativa. Il dio Tiberino apparve di notte ad Enea rivelandogli la sua ascesa: l’immagine voleva celare le aspirazioni della famiglia che mirava a raggiungere il soglio pontificio.
La quadreria fu completata con sei dipinti, inseriti come soprafinestre, raffiguranti putti con le insegne e gli emblemi eseguiti da Nicolò Ricciolini.
L’intero apparato decorativo sostenuto da appendici arcadiche e classicheggianti rievoca atmosfere mitologiche, celebra i valori cristiani e con sapiente simbologia esalta la famiglia Buonaccorsi.
La nascita dei musei civici nelle Marche
Una prima forma di conservazione civica ante litteram è quella del Museo delle Antichità Picene consistente inizialmente nella raccolta di monete antiche e di reperti archeologici provenenti da Helvia Ricina, esso trova sistemazione presso i restaurati locali della Biblioteca comunale soltanto nel 1822. 
L'istituzione di una vera e propria «pinacoteca patria» è determinata nel 1860 dal lascito del pittore e restauratore Antonio Bonfigli. Il contenuto di tale Pinacoteca, insieme ai quadri provenienti dal soppresso collegio gesuitico, a quelli in dotazione del comune e alle donazioni fra cui quella di Padre Tommaso Maria Borgetti del 1835, è accolto presso una sala dell'antica Biblioteca comunale.
Nel 1925 i dipinti della Pinacoteca vengono trasferiti in tre sale a piano terra del medesimo edificio e, su indicazione di Luigi Serra, riordinati per dare assetto alla collezione. 
Dodici anni più tardi, per rispondere alla necessità di maggiore spazio espositivo il Comune decide l'acquisto dell'adiacente Palazzo delle terme. Gli ammodernamenti ivi apportati, determinanti un ampliamento della volumetria degli spazi a disposizione, fanno sì che le collezioni possano essere suddivise in due sezioni: quella di arte antica e quella di arte moderna. 
Al termine degli eventi bellici l'istituzione viene riaperta al pubblico nel 1949: accanto alle due sezioni precedenti si dà vita all'allestimento di una terza sezione dedicata agli Artisti Maceratesi, conseguente alla fervida attività espositiva svolta dalla associazione "Brigata Amici dell'Arte". Dal 1962 alla Pinacoteca ed ai Musei civici si aggiunge anche il Museo della Carrozza, istituito in seguito alla cospicua donazione effettuata dal nobile Pier Alberto Conti di Civitanova Marche. Con il continuo incremento di opere di genere strettamente contemporaneo, a partire dalle tre edizioni del "Premio Nazionale Scipione" (1955 - 1957 - 1964), si assiste ad una fervida attività espositiva, promossa con mirabile dedizione da Elverio Maurizi, che converge nell'istituzione della sezione d'arte contemporanea al cui interno è riservato uno spazio dedicato all'artista e architetto Ivo Panneggi.   
La sistemazione ancora in essere fino al 2007 è frutto di continui adattamenti dell'ordinamento voluto dal consiglio dei curatori impegnati nelle suddivisioni in sezioni e sottosezioni che, in linea con i comportamenti sociali del momento, danno vita nel 1963 alla sezione dedicata ad illustrare la "Macerata di una volta" e   nel 1972 a quella rivolta all'attività teatrale locale. 

Con il trasferimento a Palazzo Buonaccorsi delle collezioni civiche si definisce un nuovo assetto con le tre ripartizioni vitali del patrimonio locale costituito dal museo della carrozza e dalle raccolta di arte antica, di arte contemporanea.

[Fonte]

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